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Report desde la Isla

Ultimo Aggiornamento: 22/02/2012 22:02
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12/02/2012 03:15
 
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da turisti per caso..

leggetevi il bel e dettagliato report tratto da turisti per caso
recente(maggio 2011) [SM=g28002]

turistipercaso.it/cuba/63702/habana-y-isla-de-la-juven...

solo una imprecisione direi quando parlando di playa bibijagua cita un islote llamato cayo los monos che in realta' sta nella vicina playa paraiso..


il volo interno poi stava a 41 cuc a tratta il verano pasado..
ma oramai la Isla esta' decisamente mal collegata..hanno ridotto il numero e la capacita' de los avioncitos ,a volte annullano uno dei due voli diari previsti..(uno al mattino temprano e l'altro serale per le 17.30..)e anche per gli yuma che pagano in divisa potrebbe essere incredibilmente problematico [SM=g28000] l'imbarco,
specie per il ritorno verso habana dato che il director dell'aeropuerto de Nueva Gerona ha oramai fama di incorruttibile.. [SM=g27994]

alternativa il catamaran che in 4 hora circa sbarca da Nueva Gerona a Batabano' sulla costa sur..e da li' occorre poi un'altra ora buona circa di guagua verso la capitall..
ma cuesta sui 55 cuc a tratta..
per cui anche per quello se entiende come si faccia tanta fatica(le reserve per l'avion vanno fatte mesi prima anche in cuc.. [SM=g27991] )a volare alla Isla... [SM=g27994]
[Modificato da ladillita. 12/02/2012 03:42]
Sgt. Garcia Fan Club Camaguey
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12/02/2012 03:28
 
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5° giorno (19 Maggio 2011)

“Arriviamo alla “Isla de la Juventud dove incontriamo Juan”

Alle 04:00 suona la sveglia, ci prepariamo e scendiamo nella hall per sbrigare le ultime pratiche con l’Hotel, dopo di che aspettiamo all’ingresso il nostro taxi, (prenotato il giorno precedente concordando già il prezzo di 20cuc) che stranamente arriverà con solo 5min. di ritardo nonostante avesse forato una gomma. E’ancora notte, non c’è nessuno per strada, quasi totalmente buia data l’inesistente illuminazione, le auto che circolano si contano su una mano, ma incominciano pian piano a comparire fioche luci nelle case (solo dopo le 06:30 appena albeggia i cubani escono di casa). Passando per Buena Vista y Marianao, arriviamo circa alle 05:40 al Terminal 1 dell’” Aeroporto Josè Martì” dell’Habana, dove partono solo i voli interni della Cubana de Aviacion, Gaviota e Aerocarabian. Il nostro volo per “Nueva Gerona” è alle 07:30, appositamente il primo del mattino, poiché risultano 3 voli giornalieri, ma in realtà sono solo 2, già pieni da settimane o soppressi perché vuoti, a 35cuc a tratta. Sbrighiamo velocemente il Check-in dato che non c’è nessuno con bagagli, noi siamo gli unici con valigie e anche i soli turisti, non ci controllano i bagagli a mano (max 5kg. compreso borsetta e macchina fotografica al collo, solitamente sono rigidi) né ci pesano la valigia (1 pezzo max 20 kg), anzi ci chiedono pure di metter noi stessi le valigie sul piccolo nastro trasportatore (ci visionano però più volte il passaporto anche se in realtà non usciamo da Cuba). Alle 07:50 anziché le 07:30, siamo in fila sull’asfalto della pista, circa 50 persone, per entrare, quasi inchinandosi, data la minuscola porta, su di un vecchio aereo l’Antonov-24 russo anni ’50-’60 della Cubana de Aviacion”, sprovvisto di uscita di sicurezza, ma con la scritta “tagliare l’aereo qui in caso di emergenza”. Al suo interno un corridoio centrale con due vecchie poltrone per parte, oblò come finestrini e cappelliera inesistente, tanto che i nostri zaini dobbiamo tenerli sulle ginocchia, (i presenti hanno solo una piccola borsetta come bagaglio e chi nulla), giornale locale Granma per tutti e personale composto da una sola Hostes, che distribuisce caffè quando non è seduta chinata direttamente nella coda dell’aereo ed il pilota, la cui voce diventa un forte brusio quando cerca di comunicare dalla cabina (le valigie sono sotto il muso). Partiamo speranzosi di poter atterrare incolumi, si mettono in moto i due motori turbo elica posti sotto le ali dove si ritraggono anche le ruote del carrello dell’aereo, sorvoliamo al provincia dell’Habana e il golfo di Batabano tra cayeras di sabbia. Dopo circa 25minuti di volo vediamo spuntare le ruote del carrello sottostanti le ali ed atterriamo alle 08:35 all’”Aeroporto Rafael Cabrera Mustelier” di Nueva Gerona, nell’“Isla de la Juventud” (in riferimento alle migliaia di studenti che vi studiarono negli’60-’70, chiamata anche della Cotorra, dei Pini, Siguanea, Juan Evangelista). Un'unica piccolissima stanza senza finestre né aria condizionata funzionante, dove c’è sia il nastro bagagli (dove scaricano persino tv e radio), sia il bagno e una porta di uscita che da direttamente su di un parcheggio dove un addetto controlla i passaporti prima di lasciarci proseguire.

Alle 08:40 prendiamo un taxi particular, una vecchia Chevrolet arancione che per 5 cuc ci porterà, tra le sagome delle colline, all’unico Rent a Car di tutta l’isola, della Cubacar a Nueva Gerona, dove abbiamo prenotato da mesi un auto (non esistono mezzi pubblici se non Guagua per lavoratori o taxi a 25 cuc x l’hotel), dato che ne possiede poche e vengono pure utilizzate per le escursioni in giornata (sull’isola c’è possibilità di gasolina solo qui, nell’unico distributore e alla stazione degli autobus di S. Fe ed è cara, 1l=1 cuc). Alle 09:40 facciamo ci fermiamo rapidamente alla “Cadeca” in Calle “C20”, ci riforniamo di acqua in bottiglia al “Supermercato Cubalse” (ne hanno così poca, perché nessuno può permettersi di comprarla, costa 0, 70 cuc a bottiglia, che la finiamo tutta noi) e proseguiamo lungo l’unica strada, la “Carrettera de Siguanea” per circa 46 km. Questo nastro di asfalto ondeggiando si perde all’orizzonte, fra distese brune di erba bruciata dalla siccità, qualche oasi di palme Barricone e Reali, qualche pino (da qui Isla dei Pini), enormi rettangolari casarmoni sovietici ex scuole abbandonate e ovunque carri trainati da cavalli (Coches de caballo) o da buoi; tutto sembra essersi fermato agli anni ’50 e noi siamo l’unica auto in circolazione (Hunday Atos Blu). Passando per gli unici piccoli agglomerati di case di “El Ronco “e “La Melvis” arriviamo all’”Hotel Colony” nella baia di Siguanea alle 10:50 circa (unico Hotel ed in stile resort in tutta l’isola). Alla reception la Senora Yamilà ci consegna le chiavi del nostro bungalow “Los indios”, direttamente sul mare con piccolo patio, ampio e luminoso nonché molto pulito, arricchito con mobilio nuovo e persino un grande frigor accanto ad una tv piatta ultimo modello con satellitare, due enormi letti matrimoniali e un grande bagno con cabina armadio.

Rinfrescati e sistemati i bagagli, decidiamo di esplorare l’indomani l’hotel e la sua splendida spiaggia per incamminarci nuovamente, alle 14:30 sotto un caldo torrido, lungo la “Carrettera de Siguanea” sino alla piccola cittadina di Santa Fè per incontrare un nostro amico (gli unici in circolazione, non abbiamo incontrato nessuno, se non qualche rapace). Giunti al bivio con “La Melvis” svoltiamo a dx per S. Fè, ma le cose si complicano, la strada non è più un semplice nastro di asfalto logoro, ma diventa praticamente inesistente, un insieme di profonde buche (50cm) tutte vicine che lasciano ben poco spazio a ciò che rimane del bitume. A passo d’uomo, a volte perfino impossibilitati a scendere dalla strada per evitare le buche, viaggiamo tra mucche che pascolano nell’erba che vi è cresciuta dentro, scuole su di una collina in mezzo al nulla smembrate dal tempo, un grande invaso naturale di acqua, il “lago “Vietnam Heroico” ed il riverbero del sole accecante percorrendo circa 46km. in 50 minuti. Alle 15:15 arriviamo a “Santa Fè”, al Pannel 1 nella casa del nostro amico Juan e incontriamo gli altri suoi amici quasi, chiacchieriamo insieme su poltroncine rosse di skai anni ‘60, tra un vaso di girasoli finti vicino a un vecchio ventilatore sovietico, mangiando dell’ottima “Pina”, manghi cubani y americani, ammiriamo uno splendido maschio di cotorra verde (pappagallo), la tartaruga “Jicotea” di Juan sino a farsi l’ora di cena dove Abilà ci delizierà con dell’ottima Langosta y Arroz. Rimandata ad un altro giorno la visita della cittadina, alle 22: 30 salutiamo Juan e decidiamo d’incamminarci, date le condizione precarie della strada, per percorrere i 46Km “bucati”. Nel buio più assoluto e totale, senza una minima illuminazione né stradale né delle case, la gente percorre km a piedi nell’oscurità della notte o aspetta fiducioso un passaggio agli incroci, mentre due grandi incendi in lontananza illuminano le sterpaglie. Alle 23:30, giunti all’Hotel Colony, ormai stanchi dalla lunga giornata, crolliamo distrutti.
Sgt. Garcia Fan Club Camaguey
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12/02/2012 03:29
 
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6° giorno (20 Maggio)

“Calma e Relax a Playa Roja o Siguanea”

Alle 08:30 ci rechiamo al ristorante grande dell’hotel e notiamo subito che gli espositori della colazione sono coperti con tovaglie e che solo 5 tavoli sono apparecchiati, un cameriere ci viene incontro chiedendoci che cosa desiderassimo per colazione in modo tale da servircelo direttamente al tavolo; notiamo che anche il bar interno è chiuso funzionando solo quello della piscina. Poco dopo veniamo informati del motivo di tale servizio, nei prossimi 2 gg saremo max 8 persone dopodiché l’hotel ed il personale saranno a completa disposizione solo per noi 2 ed una coppia di tedeschi nostri vicini di bungalow, non avranno più prenotazioni fino alla nostra partenza (è bassa stagione e solitamente in questo periodo è chiuso). WOW!!! Un intero hotel a nostra disposizione! non ci par vero tutta questa calma ed attenzioni!Decidiamo di esplorare e documentare questo grande, ma discreto complesso alberghiero, costruito nel 1958 dalla catena Hilton come casinò, anni in cui sull’isola regnavano la prostituzione e il gioco d’azzardo proibiti in America, che però fu immediatamente confiscato dal governo rivoluzionario ancor prima che entrasse in funzione. Visitiamo l’interno del corpo centrale, posto su due piani, ricchi di camere tutte vista mare con terrazzino, del ristorante con bar, della reception con grandi sedie di legno e salottini per la lettura, un piccolo negozio souvenir con una grande cartina dei più bei centri d’immersione di tutta l’isola (perché questo hotel dalle linee semplici è soprattutto nato e conosciuto come Centro Diving o de Buceo). Usciamo dalla hall, dove grandi dipinti di pirati ci ricordano che quest’isola ne fu il loro covo dal 1500, fra mangrovie e barriere coralline si potevano incontrare personaggi del calibro di Francis Drake, John Hawkins, Thomas Baskerville, Henry Morgan e il famoso Francois Lecheler. Usciti dall’hotel, davanti a noi vi è una grande area giochi per bambini, con accanto il viale d’ingresso contornato da grandi statue bianche di pesci poste ai lati dell’unica strada che prosegue per 1km sino alla “Marina” (poi finisce) ed il brullo nulla circostante intercalato da palme Barricone (con la pancia). All’interno invece l’hotel non risente della siccità del periodo (nonostante sia il momento delle piogge ci dicono che non accade da un mese), la piscina è contornata da rigogliose palme reali e panciute, piante tropicali ovunque, alberi di mango carichi di frutti maturi e un verdissimo prato che lascia spazio a splendide palme da cocco sventolanti nella dolce melodia dei Manà sulla sabbia di “Spiaggia Roja o Siguanea”. Solo il canto di tanti uccelli neri tra le palme ed il rumore del mare avvolge i restanti bungalow; sono le 10:30 e la spiaggia è deserta, scegliamo l’ombra di una grande palma da cocco come nostra casa e decidiamo di fare un po’ di snorkeling sotto ciò che rimane del lungo pontile in legno (culminava con un caratteristico capanno-bar) distrutto dagli uragani Gustav y Ike nel 2008. Tra pesci colorati e molti ricci, diverse specie di stelle marine nell’acqua bassissima della laguna e una miriade di piccole conchiglie cipree a riva, trascorriamo l’intera giornata in relax completo per terminare in tarda serata con un tuffo in piscina. Qui la nostra attenzione viene rivolta ad uno splendido esemplare di Carpintero, un uccello tipico dell’isola (ma non sempre facile da vedere), un picchio dalla testa rossa ed il corpo bianco punteggiato di nero, che decide di posizionarsi proprio sulla nostra palma. Dopo uno splendido colorato tramonto sul mare e in lontananza il relitto di un vecchio mercantile arenato, quando il sole cala dietro i resti del pontile e le palme s’infuocano di tonalità arancioni, torniamo in camera; qui alla sera non esiste alcuna animazione, poiché tutti gli ospiti si riposano dalle escursioni subacquee della giornata e cercano di eludere purtroppo la miriade di moschitos

Sgt. Garcia Fan Club Camaguey
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12/02/2012 03:32
 
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7° giorno (21 Maggio)

“Bellezze storiche e naturalistiche nei dintorni di Nueva Gerona con visita a Santa Fè”

Dopo una buona colazione, alle 08:45 partiamo dall’Hotel Colony con la nostra auto, diretti a scoprire le meraviglie nelle vicinanze della cittadina coloniale di Nueva Gerona, oggi sarà una giornata molto impegnativa. Percorriamo 46 km inizialmente tra distese di erba bruna, dolci colline con pini marittimi e scuole smantellate, tra piccoli villaggi con annessi campi solcati da vecchi aratri trainati da esili buoi, magre mucche all’ombra di palme Barricone in compagnia di bianchi Aironi guardabuoi, asini e capre che brulicano l’erba più verde a bordo strada e nessuna auto; solo persone a piedi o su calessi e persino un vecchio carro trainato da buoi trasportante latte in vecchi bidoni di latta (un vero set cinematografico anni ’60). Alle 09:30, a circa 3km sud-ovest di Nueva Gerona svoltiamo a sx in un lungo viale di accesso fiancheggiato da alberi di querce ed eucalipti sorvolati da avvoltoi, dolci colline tagliate da cave di marmo e immensi bananeti, che culmina nel piazzale di una piccola bianca Hacienda spagnola ai piedi della “Sierra Las Casas” : la “Finca el Abra” (dichiarato Monumento Nacional). Nel piazzale pascolano capre vicino ad una vecchia meridiana bianca in pietra del 1868 ancora funzionante, maestose radici aeree di una grossa Ceiba piantata nel 1945, circondano parte della casa nel silenzio di questa mattinata assolata. Entriamo, siamo gli unici turisti, subito viene a noi una gentilissima guida, la Senora Marialena che ci ricorda che questa fattoria di proprietà dell’imprenditore Josè Girondella, nel 1870 ospitò l’eroe indipendentista e famoso letterato Josè Martì, che vi trascorse circa 2 mesi prima di esser deportato in Spagna (fu esiliato qui grazie alle conoscenze del padre che gli evitò il carcere). Attraverso le diverse stanzette con portoni di legno blu poste sotto il granaio e laterali al selciato interno su cui passavano i cavalli, la guida ci illustra tutta la vita di Josè Martì tra oggetti della sua camera da letto, antichi orologi e basculanti, libri da lui scritti ed indumenti, registri con pure la firma di Castro, manifesti di battaglie e codici segreti di scrittura e persino parte della catena i cui ceppi furono fusi da sua madre per realizzare un anello che Martì portò sino alla sua morte. Inoltre parte del Museo illustra con fotografie ed oggetti personali, anche la storia della dinastia della famiglia Girondella che ospitò il letterato. Terminiamo la visita nella cucina in pietra della casa che ospita ancora antichi utensili di rame accanto all’ala della casa non visitabile, ma confinante con essa, dove incontriamo una simpatica signora ottantenne nipote ed ultima antenata del Senor Girondella che ospitò Josè Marti. La Senora Marialena ci accompagna in un breve giro attorno all’Hacienda per poi congedarci facendoci firmare come ricordo, il registro delle presenze: non ricevevano visite da più di un anno, dal Giugno del 2010.

Alle 10: 30 lasciamo questa graziosa oasi di pace per dirigerci nel piccolo e tranquillo centro della cittadina coloniale di “Nueva Gerona” (fondata nel 1830 dagli spagnoli) alla ricerca dapprima degli ingredienti per cucinare in serata un buon piatto italiano di spaghetti pomodoro e basilico (albacha) al nostro amico Juan e poi per scoprirne le bellezze architettoniche e locali. Dopo diverse peripezie in 3 diversi chioschi-supermercato a lato della strada (sono baracche di ferro che da noi si usano nei cantieri, dove non si può accedere al loro interno, dalle cui grate l’addetta fornisce i pochi viveri tutti in cuc, solo crackers cinesi, fagioli, riso e niente latticini, frutta, né carne, nulla di fresco, non c’è frigor) troviamo tutti gli ingredienti compreso il tanto prezioso Aceite (olio) per fare il sugo. Siamo gli unici turisti in circolazione (soprattutto abbiamo un auto non anni ’50) e tutti ci osservano con molta curiosità, ma nessuno cerca di venderci nulla, sono tutti incredibilmente accoglienti e si offrono gentilmente di darci informazioni accompagnandoci quando non troviamo un posto, tutto per ingannare il tempo in questa sonnolente e tranquilla cittadina. Parcheggiamo l’auto tra bici-taxi con musica reggaeton a tutto volume, ciabattini e calzolai lungo le vie (trovo il giornale locale la Victoria) e ci dirigiamo nel tratto pedonale animato di Calle 39, fulcro della città punteggiata da piccoli parchi, tra edifici di servizio (banca, posta, supermercato, farmacia, 3 ristoranti locali, negozi di scarpe, ma nulla di souvenir o artigianato locale) e case coloniali ad un piano con spaziosi porticati colonnati color pastello, sino all’incrocio con calle 28 nel “Parque Central” (ovunque cartelli propagandistici con i volti degli eroi nazionali o la scritta “Trabajar, trabajar” = lavorare). Ovunque banchetti di venditori ambulanti di crocchette fritte in casa, arachidi tostati, frutta fresca (platani, pina y maranon), guarapo (succo di canna da zucchero), succhi di frutta (Jugo de Frutas), giocatori di domino sotto i portici e porte delle case spalancate per permettere la vista dei passanti dalla propria poltrona, ciabattini e venditori del giornale “Gramna”. Tra i palazzi più importanti che circondano questo parco-giardino quadrato attorniato da auto anni ‘50 con al centro un chiostro e tanti alberi di flamboyan rossi, visitiamo l’ “Iglesia de Nuestra Senora de los Dolores”, del 1929 in stile messicano gialla e rosa con un balconcino sul campanile ed il parroco che lava il pavimento, il “Museo Municipal” del 1853 beige e bianco con 12 colonne sormontate dalla torretta dell’orologio (noi non lo visitiamo, ma ci dicono esservi ogg. di pirati ed animali impagliati). Una rapida sosta all’unica stazione di benzina Cupè e tra “coches de caballo” con a bordo quadrati di pan di spagna stracolmi di creme (unico dolce prodotto) e mucchi liberi di filoncini tipo sandwich, imbocchiamo calle “C32” poi “C33” sino ad arrivare sulle sponde del “Rio las Casas”. Un rio navigabile con traghetti che partono da Batabanò, piccoli pescherecci colorati e baracche in lamiera con giardino di banani, che culmina nel “Terminal dei Traghetti della Naviera Cubana Caribena”. Qui cerchiamo, l’”Agenzia Ecotur”, l’unica sull’isola in grado di fornirci, avendo già noi un auto a disposizione, un pass valido un giorno ed una guida senza la quale sarebbe impossibile ed inutile oltrepassare il blocco militare di Cayo las Piedras per accedere alla zona militare e visitare le bellezze delle parte sud (cuc12 a testa guida compresa). Sono circa le 13:00, l’agenzia è una minuscola stanza nascosta, parte integrante di un edificio insignificante con un’insegna sbiadita di legno, contenente a malapena un tavolo con 2 sedie ed un vecchio computer; ci accordiamo in via straordinaria per la domenica (anche se ci sarebbe un’esercitazione anti uragani) altrimenti l’unica guida esistente non sarebbe più disponibile causa viaggio all’Habana. Poco distante e sempre lungo le rive del rio, in calle “28”, arriviamo in un grande spiazzo asfaltato (un militare ci osserva da lontano e ci acconsente di parcheggiare) dove padroneggia un grande traghetto nero con la scritta bianca “El Pinero”. Osserviamo questa imponente imbarcazione simil piccolo mercantile, mezzo di trasporto dagli anni ’20 sino 1974 degli isolani diretti a Batabanò, che il 15 Maggio 1955 trasportò Castro e i compagni ribelli sino all’isola principale (rilasciati dal carcere del Presidio Moldelo dove erano stati rinchiusi dopo l’assalto alla caserma Moncada e liberati da Battista stesso come amnistia in seguito alla sua discussa elezione presidenziale). Sono le 13:50, tutt’intorno silenzio e caldo torrido, i cubani sono rinchiusi nelle loro case, casupole alzate alla bell’e meglio (Barbacoas), soppalchi che moltiplicano finestrelle e porte come prolungamento all’infinito dell’abitazione sottostante dal cui balcone una capra ci guarda incuriosita mentre nel giardino sottostante un magro cavallo bianco brulica l’erba precocemente invecchiata dal sole.

Alle 14:00 lasciamo calle “33” e svoltiamo a sx lungo calle “32”, attraversiamo il ponte sul Rio las Casas tra bici-taxi ed innumerevoli biciclette, per circa 5 km, tra immense distese di palme reali, piantagioni di banani e dolci colline alla nostra dx in direzione “Presidio Modelo”. Alle 14:10 lasciamo la strada principale e svoltiamo a dx in una larga via attorniata da semplici, ma graziose e ben curate casette ad un piano con giardino (località Chacon), sino a trovarci in prossimità di una recinzione con cancello; alla nostra sx un campo di pelota con cubani intenti a tifare per la propria squadra mentre a dx una brulla desolazione d’erba bruna, siamo arrivati al “Presidio Modelo” (costruito da Machado tra il 1926 e 1928 su modello di quello di Joliet in Illinois). Al gabbiotto di guardia ormai smesso da anni non si vede nessuno, nemmeno cartelli di divieto, così entriamo direttamente con l’auto sino alla grande scalinata di marmo di un grande edificio giallo (ex casa del governatore), l’ingresso del penitenziario; alla nostra sx una vecchia meridiana in pietra bianca e a dx piccole abitazioni gialle delineate da una cinta muraria che corre tutt’intorno al carcere sino a 2 edifici rettangolari sul lato nord. Decidiamo di arginare in auto questo ingresso ed ai nostri occhi si apre uno scenario incredibile, in mezzo ad una immensa prateria ai piedi di una altura, appaiono 5 enormi e circolari edifici gialli abbandonati, di cui 4 con 5piani ciascuno e celle senza porte, provvisti di una torretta centrale accessibile dal guardiano solo da un percorso sotterraneo (una sola sentinella poteva così sorvegliare 5000 detenuti). Parcheggiamo l’auto e nel silenzio più assoluto (siamo gli unici) entriamo in un padiglione con il tetto in lamiera che lascia intravedere il cielo, al centro la torretta mentre alla nostra dx una scala che ci porta al primo piano circolare. Entriamo in una delle tante celle provviste di un numero nero all’ingresso, è piccolissima (circa 1, 5mt per 2, 5mt), ovunque si vedono ancora sui muri le incisioni dei prigionieri, un piccolo lavandino bianco ed in un angolo un water vicino ad una piccola finestra sulla prateria, su di una parete ancora visibili gli anelli di ferro che sostenevano le corde della brandina, occupando così tutto lo spazio della cella (ognuna ospitava 2 persone, rimanevano in piedi di giorno e con la luce accesa di notte). Ci addentriamo poi nel quinto edifico circolare che si trova al centro degli altri 4, un padiglione più grande adibito a mensa nel quale era proibito parlare; il sole filtra dal tetto in lamiera ormai inesistente su ciò che rimane delle strutture di ferro delle panche e dei tavoli disposti circolarmente rispetto alla torretta centrale, tutto qui fa eco, (anche noi ci divertiamo!) compresi gli innumerevoli uccelli neri che sorvolano le nostre teste. Risaliamo in auto e ci dirigiamo verso due edifici rettangolari del lato nord, ex infermeria che ospitò Castro dal 13 Ottobre 1953 al 15 Maggio 1955, sezione trasformata in Museo quando il penitenziario fu chiuso nel 1967. Anche questo luogo presenta all’ingresso la targhetta di “Monumento Nacional”, decidiamo di visitarlo senza guida (3 cuc a testa+ 5 cuc x fotografare), anche se in realtà saremo accompagnati in ogni stanza e avremo informazioni più che esaurenti grazie alla incontenibile voglia di spiegazioni della guida stessa, forse perché siamo gli unici turisti o perché non passava nessuno da tempo. Entriamo in questo edificio rettangolare dove lunghi corridoi corrono intorno ad un patio centrale interno, qui visitiamo la tavola e la lavagna dove Castro impartiva lezioni ad alcuni detenuti, mentre perfezionava il famoso discorso” la storia mi assolverà”. Entriamo in una stanza rettangolare molto lunga dove 26 lettini bianchi di ferro presidiano ancora le foto segnaletiche dei sopravissuti all’assalto della Caserma Moncada (fra cui Castro ed il fratello Raul), su di ognuno ancora la pezza nera che i detenuti utilizzavano di notte quando appositamente le luci rimanevano accese, tra i letti teche con oggetti personali appartenuti ad essi. Inoltre vi è anche un’interessante mostra di documenti e fotografie della storia del penitenziario, dalla posa della prima pietra sino alle foto dei detenuti stranieri nemici durante la 2 guerra mondiale, quando fu istituito come campo di concentramento per 350 giapponesi, 25 italiani e 50 tedeschi. Poco distante una lapide ricorda l’Inno del 26 Luglio che Castro e compagni cantarono alla visita del 12 Febbraio 1954 al passaggio del tiranno Batista provocandone l’ira, tanto da decidere di mettere Castro in isolamento, al buio completo, in una stanza limitrofa all’obitorio, dove vi sono il suo letto ed disposti in teche di vetro oggetti personali fra cui i suoi libri.

Alle 14:45 lasciamo il “Presido Modelo “ed in prossimità di Chacon svoltiamo a dx per circa 4 km sino ad arrivare a “Playa Bibijagua” (chiamata così per le grandi formiche rosse di color rosso bruno che di notte assalgono le coltivazioni). Sentiamo musica reggeaton ovunque e tra i resti di un grande complesso hoteliero ormai chiuso (ex Resort), tra palme ed uva caleta, spuntano cubani in festa da ogni angolo, un piccolo bar improvvisato in una baracca di ferro offre gelati, refrescos e yogurt in pesos nacional, mentre assonnati autisti di una vecchia Guagua si difendono dai 36°c all’ombra di un albero in attesa di ripartire nel tardo pomeriggio. Parcheggiamo l’auto in una zona verdeggiante in prossimità della spiaggia, una lunga striscia di sabbia grigia che avrebbe bisogno però di una ripulita dalle alghe che vi sono a riva, l’acqua è di color verde caraibico, in lontananza un piccolo cayo, “Cayo Monos” (ora deserto, ma che fu sede di uno zoo di scimmie), soffia un po’ di vento ed allegri cubani si divertono fra le onde che s’infrangono a riva. All’improvviso una bambina mi corre incontro e mi abbraccia contenta; sorpresa! E’ Yixy con la madre Yiliè, la vicina di Juan incontrate in precedenza, che ha riconosciuto immediatamente la nostra auto da lontano, l’unica Hunday blu in 2398 kmq dell’isola, dopo qualche foto insieme e qualche chiacchiera, ci salutiamo per poi darci appuntamento in tarda serata a Santa Fè, a casa del nostro amico Juan. Sono le 15:15, lasciamo Playa Bibijagua tra promontori di pini in direzione di Nueva Gerona senza fermarci nelle spiagge limitrofe di “Playa Paraiso” e “Punta de Piedra”, proseguiamo sull’autopista per circa 30 km in direzione Santa Fè, passando per “Mal Pais” sino all’incrocio con l’enorme cartello propagandistico “26 Settembre” al quale svoltiamo a sx su un’ottima strada.

Alle 15:50 arriviamo a “Santa Fè” nel Panel 1, a casa di un sorpreso e contento Juan, al quale prepareremo un tipico piatto italiano, ma prima decidiamo di visitare con lui questa seconda cittadina dell’isola sempre dimenticata ed a volte nemmeno menzionata da quasi tutte le guide turistiche. Passiamo tra un gruppetto di grandi grigi palazzi rettangolari sovietici costruiti dopo la rivoluzione,con terrazzi rinchiusi in improvvisate grate di ferro arrugginite di fortuna ed anti ladro, colmi di oggetti di riciclo che straripano di vasetti di latta con fiori, vecchie sedie di legno ed interminabili fili di panni colorati. Tra bambini che giocano in strade polverose e malconcie, risciò con musica a tutto volume e coches de caballo carichi di qualsiasi cosa che possa essere riutilizzato, siamo l’unica auto e non dimeno turisti, che si dirigono, tra banani e agrumi, verso la parte nord orientale dell’abitato. Arriviamo davanti a un cancello bianco di ferro battuto finemente lavorato che recinta un area verde con a lato una grande effige colorata in ceramica raffigurante un pappagallo, “l’Aqua de la Cotorra”, percorriamo un piccolo viale di palme reali e barricone, tra piante di ogni tipo, eucalipti e manghi, fiori colorati e arbusti fino a raggiungere una grande fontana circolare in disuso dopo gli uragani del 2008. Poco più avanti da una casina fatta con sassi bianchi e dal tetto di paglia, sorvegliata da una scultura bianca di un pappagallo, la Senora Mirta, la custode di quest’area, ci spiega che un tempo la grande vasca era ricolma di acqua di sorgente potabile e che tutt’intorno le orchidee crescevano rigogliose sugli alberi, ma che dopo il 2008 tutto si è danneggiato, le piante poco a poco si stanno visibilmente riprendendo, ma la pompa della fonte continua ad esser purtroppo rotta non riempiendo la grande vasca. Lasciamo questo luogo e lungo le quadre schematiche della cittadina ci fermiamo ad un incrocio dove un contadino visibilmente provato dal caldo torrido, su di un precario banchetto di legno espone platani verdi maturi e piccole banane gialle direttamente colte dal suo campo confinante. Acquistiamo degli ottimi platani (5 pesos nac.) e poi partiamo alla ricerca del campo di pina (ananas) del padre di un ex studente di Juan, poiché ci dicono che queste sian le più buone ed economiche della città. Arriviamo in una strada sterrata limitrofa alle case, a lato un campo di ananas con al centro una piccolissima casina di legno dal tetto di paglia da dove esce l’ex scolaro di Juan, che con un grosso macete raccoglierà le “pine” più buone che abbiamo mai mangiato. Visitiamo successivamente la “Mananthial de Santa Rita”, parcheggiamo vicino a grosse piante di mango e distese verdi di Bambù, poco distante da 3 sorgenti naturali ricche di magnesio per la digestione, ferro per gli anemici e di S. Lucia per gli occhi, in particolare i bagni termali, dove nel 1885 i benestanti creoli si bagnavano in queste acque curative sempre calde, poi dimenticati dagli anni’60 fino al restauro nel 2003, che purtroppo oggi versano in condizioni pessime dopo i due uragani Gustav y Ike del 2008; ora è rimasto solo un edificio senza tetto né porte con 2 stanze piene di acqua invasa dalle piante acquatiche. Poco distante vi è una piccola casa bianca, una clinica dove si convoglia l’acqua curativa per tutti coloro che soffrono di malattie come calcoli renali ed epilessia. Continuiamo la visita dirigendoci verso il “Parque Central” di Santa Fè, attraversando il ponte sul rigoglioso rio omonimo, giungiamo in uno spiazzo d’asfalto con al centro un chiosco rialzato, qualche pianta sottostante ad alberi fioriti di Flamboyan con due auto d’epoca parcheggiate ai lati. Qui si concentra tutta la parte commerciale e di svago di questa piccola cittadina nonché di tutta l’isola dopo Nueva Gerona, dove vi sono anche qui cubani immancabilmente in fila. Disposti sui 4 lati della piazza troneggiano il piccolo centro de correo (posta) in un edificio blu e bianco, una pescheria sotto i portici di un altro stabile, una panaderia y dulceria (dalla finestra del retro di un’abitazione), una banca de ahorro (risparmio), una gelateria ed una graziosa piccola chiesa beige; poco distante l’unico cinema “caribe”, una piccolissima casetta bianca. Tutto ciò che esula dal centro si può riassumere in qualche chiosco-baracca di ferro che vende articoli alimentari, una “tienda de divisa” ossia un piccolo supermercato o stanza dove si concentrano i più svariati oggetti (dagli indumenti ai 4 televisori e agli articoli di prima necessità), banchetti di contadini ed il piazzale degli autobus dove si può reperire benzina oltre a Nueva Gerona. Alle 17:15 ritorniamo nella casa di Juan, tra chiacchiere con i suoi amici, qualche sguardo al magnifico quadro di campi verdi che una finestra incornicia alla perfezione e due coccole alla tartaruga, prendo possesso della sua cucina e preparo “spaghetti al pomodoro e basilico” che gusteremo con Juan ed Avilà. Alle 19:15 salutiamo proprio tutti per incamminarci verso l’unica carrettera che porta all’Hotel Colony, ma stavolta purtroppo ritornando per la strada piena di buche che avevamo fatto in precedenza.

Tra distese di palme ed erba bruna, le solite scuole abbandonate, invasi artificiali d’acqua dolce e colline di pini, alle 19:30, sul calar del sole, decidiamo di lasciare la strada principale dopo circa 6 km per svoltare a sx lungo un sentiero di terra battuta rossa immerso in una fitta vegetazione verde per circa 1 km in direzione “Jungla de Jones”. Alle 19:40 circa arriviamo di fronte ad un cancello di legno bianco, non c’è nessuno, solo un gran silenzio immerso in una rigogliosa vegetazione; in lontananza una torre di legno sostiene una cisterna d’acqua ai piedi di una piccola casetta bianca dove due vecchie sedie a dondolo di legno custodiscono questa fattoria stile americano. Entriamo e parcheggiamo vicino ad un grande albero di Anacaguita (l’albero dell’ amore per i frutti afrodisiaci), all’improvviso una bambina si avvicina da dietro e silenziosamente mi pone in mano un frutto di mango per poi fuggire via nella casetta bianca. Poco dopo incontriamo Daxira, una simpatica signora che, nonostante fossimo all’imbrunire e stesse cenando, si offre molto gentilmente di accompagnarci in questo rigoglioso giardino botanico con più di 80 specie di piante, istituito dagli americani Harriss e Helen Rodwars sin dal 1902 (collezionisti di piante ed alberi da ogni parte del mondo). Ci addentriamo in una fitta foresta con alberi di mango, Ayua (come un cactus gigante pieno di spine, cresce solo qui) e Yamagua, lungo una rete di vialetti coperti di foglie relativamente incolti e selvaggi, quando incontriamo due simpatiche scimmiette, Claudia più schiva e Pablo il curiosone, che annunciano il nostro passaggio a Timotea, la mucca bruna di Natalì, figlia di Daxira, che beatamente in lontananza ci guarda continuando a brucare l’erba. Un’oasi di pace e tranquillità nel cui silenzio camminiamo per circa 15 minuti su foglie scricchiolanti percorse da spaventati gechi e piccolissime lucertole marroni, gli uccelli continuano la loro ode al tramonto mentre nella fitta vegetazione del bosco tropicale si fa sempre più buio e tra una miriade di cactus, magnolie, bambù e ponticelli sospesi su ruscelli di acqua trasparente color ulivo, arriviamo purtroppo a ciò che rimane dell’attrazione di questo paradiso, la “Cattedrale di Bambù”. Purtroppo la strada s’interrompe e non possiamo più proseguire, davanti a noi un ponticello semidistrutto e solo un enorme mucchio di rami verdi di bambù; Daxira ci spiega che questi sono i danni degli uragani del 2008 (anche se pian piano la vegetazione si sta riprendendo e loro han potuto sistemare solo fin lì), questa macchia verde è ciò che rimane di uno spazio chiuso circondato da alti bambù che lasciavano filtrare solo qualche lama di luce nel silenzio e lo scricchiolio delle canne al vento. Purtroppo dobbiamo tornare indietro e Daxira ci fa notare i resti della casa dei botanici americani di cui oggi ne rimangono solo le fondamenta di cemento dopo il terribile incendio del 1960. Daxira ci racconta che quando Harris morì improvvisamente a soli 38 anni causa un incidente, sua moglie Hellen decise di continuare il sogno condiviso dal marito occupandosi del giardino purtroppo solo sino al 1960 quando fu tragicamente massacrata e uccisa da 4 malviventi in cerca d’ora fuggiti dal Presido Modelo, che per nascondere l’accaduto incendiarono la casa (furono poi catturati e riportati in prigione). La cosa più curiosa, ci spiega Daxira, è la leggenda che ne è nata, da generazioni si riporta che al secondo piano della casetta di legno dove viveva la coppia, nello studio del sig. Harris, vi fosse anche la tana di un gigantesco serpente, solito scendere le scale lungo il corrimano. Il giorno dell’aggressione Hellen, ormai anziana, armata di macete scese le scale e mozzò la mano del ladro, essa rimase attaccata al corrimano, i malviventi diedero fuoco alla casa ed il serpente per salvarsi dal fuoco scese lungo la ringhiera, molti lo videro allontanarsi nelle fitta vegetazione con in bocca la mano del ladro. I giardini rimasero incolti sino al 1998 e poi successivamente risistemati. Ritorniamo alla nostra auto alle 20:20, il sole ormai è già sparito e sta per scendere l’oscurità ancor più accentuata dalla fitta vegetazione, qui su un ramo di ibiscus rosso compare “Coti”, la cotorra di famiglia che salutiamo insieme a Daxira e Natalì. La sensazione che permane in noi è una sorta di pace misto a tristezza ed inspiegabile amarezza nel lasciare un posto così rilassante e silenzioso.
Riprendiamo la carretera diretti all’Hotel Colony, tra i riflessi aranciati del cielo che si specchiano nell’“Embalse Vietnam Heroico”, il solito incendio in lontananza, una miriade di lucciole ed un passaggio ad Donald, un giovanissimo militare che camminava a bordo strada nel buio, arriviamo all’ Hotel Colony alle 21:10 dove stanchi cadiamo in un sonno profondo
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12/02/2012 03:33
 
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8° giorno (22 Maggio)

“Bellezza selvaggia della sconosciuta ed inaccessibile zona militare dell’isola: El Sur”

Alle 08:00, puntuale come non mai e contrariamente alla fama cubana, nella Hall del nostro hotel ci aspetta Nerai, l’unica guida, ingaggiata il giorno precedente, in grado di accompagnarci nella parte sud dell’isola (cosa impossibile senza di lui ed il noleggio di un auto). Partiamo alle 08:15 con una breve deviazione, lasciamo la carrettiera siguanea per svoltare a sx, poco dopo la riserva naturale di Cabana (la collina più alta dell’isola di 300mt.) al bivio per “La Victoria”. Una lunga strada asfaltata ai cui lati un gruppetto di graziose e adorne casette ad un piano con verdi giardini, tra calessi e contadini a piedi nei campi circostanti, ci porta in uno spazio verde, dove immortaliamo la statua in marmo bianco della famosa “Ubre Blanca”. Nel 1982 questa mucca divenne famosa per aver prodotto 24. 268, 9 litri di latte in un anno e fino a 109, 5 in un giorno entrando così nel guinnes word record cubano, persino Castro andò a farle visita; tutt’ora si sta cercando di studiare la sua geneticità per poterla in futuro clonare. Il cielo nuvoloso non promette nulla di buono, così decidiamo di partire frettolosamente lungo la carrettiera siguanea in direzione Santa fè, percorrendo nuovamente quei 46 km di strada piena di buche, ma stavolta sotto un diluvio pazzesco che ci obbligherà ancor di più a rallentare per la mancata stima della loro profondità (anche se ormai ce le ricordiamo). Passiamo quindi per Santa Fè, il cielo ci dà tregua e proseguiamo sull’unica strada che porta nella parte sud, tra alberi di mango e distese brulle d’erba bruna, dove le piantagioni di agrumi sono sempre più rare, magre mucche al pascolo tra arbusti di maranon, sino ai piccoli agglomerati di case contadine di “Julio Antonio Mella” y “Pino Alto”.

Alle 09:10 lasciamo la strada asfaltata della carrettiera a circa 12 km da La Fè per svoltare a sx in direzione “Criadero de los Cocodrilos”, percorriamo una strada sterrata molto accidentata e piena di buche, immersi in una fitta ed alta vegetazione arbustiva per circa 6 interminabili km. All’improvviso la vegetazione si dirada culminando in uno spiazzo di macchia bassa acquitrinosa, color verde lussureggiante; sono circa le 09:45 mentre alla nostra dx compare un grazioso capanno di paglia con l’esterno circostante ben curato, compreso ormai l’onnipresente busto bianco di Josè Martì (la visita è 6 cuc a testa oltre i 12 del pass). Il cielo è nuovamente coperto ed inizia a piovere intensamente, così siamo costretti a rifugiarci nel capanno del custode dove un grazioso piccolo gattino nero farà le fusa sulle mie ginocchia ed un magrissimo cagnolino marrone (sembra purtroppo il cane dei Simpson, il piccolo aiutante di Babbo Natale) si rintanerà nella sua cuccia osservandoci da lontano in compagnia di due impavide galline, in attesa che il tempo migliori. Il cielo rimane minacciosamente grigio con inequivocabili strisce nere di pioggia in lontananza, ma Nerai ci assicura che son ancora lontane e che se ci sbrighiamo riusciamo a visitare la palude, purtroppo la cessata pioggia ha rinvigorito ulteriormente la miriade di moschitos degli invasi (indispensabile un repellente ed arti coperti, siamo in mezzo alla natura selvaggia). Iniziamo la visita preceduti dal custode e Nerai, sulla nostra sx vi sono vasche bianche di cemento di diverse dimensioni con pozze d’acqua, mentre altre ospitano al centro piccole oasi di piante tropicali, sono le nursey entro cui vengono allevati i coccodrilli fino a 7 anni d’età e che al raggiungimento di un metro vengono rilasciati nella palude, praticamente nel prato accanto a noi (la guida ci dice che ovunque può esserci un rettile, difatti gira con un grosso bastone). Questo Criadero è un centro molto importante per la salvaguardia del coccodrillo endemico di Cuba, il più aggressivo e vivace, che rischiava l’estinzione fino alla creazione di questo centro, dove ne vivono più di 500 continuamente monitorati. Nelle vasche vi sono esemplari di pochi mesi, di 1 e 4 anni; i più piccoli sono più docili e Nerai ne afferra uno porgendocelo: ha denti affilatissimi, è molto caldo e morbidissimo al tatto, impariamo che alla nascita sono già muniti di un dentino per poter bucare il guscio da cui fuoriuscire. Poco distante vi è una distesa scura di terra, sembra un campo aratro, ma in realtà il custode ci spiega che è il terreno di coltura in cui sono sotterrate le uova di coccodrillo, staranno qui in incubazione per 90gg e maggiormente sarà caldo il terreno, maggiore sarà la probabilità che nascano femmine, mentre con più freddo nasceranno maschi. Vicino all’ultima vasca c’ è un banano con uno splendido cespo di frutti che culmina in un meraviglioso fiore viola, accanto un tamarindo che ci regalerà frutti per me troppo aspri. Camminiamo nella palude tra grandi canali d’acqua alcuni ben chiusi e recintati, altri naturalmente aperti tra ninfee e piante acquatiche dove ogni tanto qualche coccodrillo si tuffa in acqua al nostro passaggio, altri salgono la riva al suono di un bastone contro la recinzione spalancando aggressivamente le fauci (segnale del cibo, il pesce, servito ogni 15gg), ma noi proseguiamo in cerca del rettile più grande, un esemplare di 40 anni d’età e 170kg di peso per 3mt di lunghezza. Secondo il custode saremmo stati più fortunati se ci fosse stato il sole, in quanto avremmo avvistato più coccodrilli crogiolarsi a riva, ma all’improvviso in una pozza infossata nel terreno e recintata con pali di legno, compare lui, il più grande e pigro di tutti con accanto un altro non da meno, che se ne stanno immobili nell’acquitrino paludoso senza cedere nemmeno al richiamo del cibo, per cui saremo costretti a vederli solo da lontano. Proseguiamo sempre a piedi all’interno della palude sino a ritornare all’auto dove alle 10:30 salutiamo il custode e ripercorriamo i 6 km sterrati tra la fitta vegetazione imbattendoci in strani uccelli scuri che stentano a spostarsi; Nerai ci spiega che sono gli “Arriero o Guacaica”, sono molto lenti con occhi rossi e sono quasi ciechi, per questo spesso sbattono contro i carri di passaggio.

Ci immettiamo nuovamente nella carrettiera che da Santa Fè porta al sud, tra le distese acquitrinose della palude sino ad arrivare ad un vero e proprio sbarramento di altissime palme reali che si stagliano su tutto l’orizzonte; siamo a “Cayo las Piedras” alle 11:00. Nerai ci spiega che queste palme si trovano sopra un cayo galleggiante, difatti la parte precedentemente percorsa è palude mentre quella oltre il cayo, unico punto d’accesso, è una zona carsica emersa dal mare milioni di anni fa, una vera è propria isola nell’isola; siamo nella riserva naturale della “Cienaga de Lanier”, rifugio di cervi selvatici, tocorocoro, pappagalli e molti altre specie protette. Poco distante da una piccola unica fattoria c’e un posto di blocco militare, con severe regole governative, dove ogni guidatore deve sostare con l’auto in un’ apposita area delimitata lontano dai passeggeri, a cui vengono perquisite le borse . Dopo il posto di blocco militare svoltiamo subito sx, dove metteremo a dura prova la nostra Hunday Atos (povera!) in un’interminabile strada sterrata che corre verso est, ma che in realtà si tratta di fondo corallino deforestato dalle fitte mangrovie circostanti per permetterne il passaggio, piena di buche ovunque colme d’acqua tanto per non facilitarne la stima della profondità, per circa 24 km che percorreremo in 1 ora.Lungo il percorso Nerai ci fa fermare nel nulla, scende dall’auto e sparisce tra la fitta vegetazione per poi farci segno di raggiungerlo (controllava che non ci fossero i serpenti neri di S. Maria che ci hanno attraversato due volte la strada). Facendo attenzione a non sfiorare le verdi piante di “Guao” appositamente segnalate da Nerai (irritante che provoca dolorose vesciche sulla pelle), tra alberi di “Majagual” (che durante il periodo especial venivano bolliti in acqua come tintura marrone per scarpe e vestiti) colmi di grandi termitai e buchi risuonanti vuoti che spuntano dal fondo corallino, davanti a noi si apre il “Cenote Majagual” (dal nome della pianta). E’ un grande buco carsico di acqua dolce colmo di piccoli pesciolini, profondo 18 mt che sotterraneamente, alla distanza eguale di 25mt, si collega con altri due cenote immersi nella vegetazione, noti al nostro hotel da dove partono escursioni subacquee per la loro esplorazione. Torniamo all’auto e proseguiamo tra lagune d’acqua e resti arrugginiti di un carbonificio abbandonato, buche sempre più grandi attraversate da grandi granchi di terra (Nerai ci avvisa che il peggio deve ancora arrivare), alcuni grigi mentre altri dagli splendidi colori vivi, dal corpo blu e chele rosso-arancioni (sembrano di plastica), piccole lucertoline brune e colombe che si abbeverano nelle buche della strada, mini iguane marroni e picchi dalla testa rossa volano via al nostro passaggio (Carpintero), mentre un grande guscio in mezzo alla strada desta la nostra attenzione, un enorme granchio all’interno di una conchiglia con una possente chela rosso-viola-blu (tipo paguro) è il “Macao” (si stacca solo con il calore). La rigogliosa vegetazione ai bordi della strada si fa sempre più fitta restringendo la carreggiata quasi chiudendosi sopra di noi, le buche son sempre più profonde e numerose sino a costringerci a volte a fermarci, ma alle 12:00 arriviamo in un largo spiazzo.Siamo nei pressi di una “Stazione meteorologica“per il controllo degli uragani (non visitabile e dove non esiste possibilità di reperire acqua sin qui) dove parcheggiamo l’auto all’ombra di un grande albero. Qui Nerai incontra Michel, il custode delle “Cueva dell’Este”, nostra prima meta, celebre per gli innumerevoli e ben conservati 235 pittogrammi Siboney, i primi abitanti giunti sin qui dal sud America, la grotta più importante di tutta l’America latina se non del mondo. Percorriamo un sentierino che scende tra la fitta vegetazione di palme ed alberi, dove non c’è nessun cartello di segnalazioni e siamo gli unici, quando davanti a noi compare un ampio accesso dalla cavità così bassa che i disegni si potrebbero toccare, (1 cuc per fotografare) una grotta calcarea al cui interno due grandi aperture circolari fanno filtrare la luce, è la “Cueva dell’Este 1” (la più grande, in realtà sarebbero 6, scoperte per caso come rifugio da Freeman P. Lane nel 1910). Entriamo nella grotta spaventando minuscoli pipistrelli neri che tornano a dormire poco distante da noi tra numerosi granchi grigi e arancioni che scappano cercando di arrampicarsi lungo le pareti, mentre il custode ci mostra le pittografie rupestri dell’800dc presenti sul soffitto e sui lati. Sono quasi tutte circolari ed in ottimo stato di conservazione, eseguite in rosso e nero vividi (utilizzavano ossido di ferro e carbone), la più grande di 28 cerchi concentrici rappresenta un calendario solare, difatti il 22 marzo il sole che filtra da una delle due aperture naturali lo illumina, una sorta di celebrazione della fertilità e del ciclo vita-morte, mentre altre rappresentano la riproduzione femminile. Più addentrate nella grotta vi è un cunicolo che porta ad altre buie cavità al cui interno sono stati ritrovati gli scheletri di una donna ed un bambino, ora visibili all’Havana nel Museo del Capitolio. Lasciamo la grotta uno e ritorniamo sul sentiero dove a 500mt troviamo una altra stretta apertura che conduce alla “Cueva dell’Este 2“, raramente visitata, che ospita una miriade di granchi grigi e pipistrelli dove ammiriamo altri pittogrammi circolari, ma dai colori meno vividi tra cui il famoso dipinto del “pesce rosso”.

Sono le 13:00 e ci avventuriamo lungo un altro breve sentiero tra l’alta e fitta vegetazione, accuratamente visionato da Nerai onde evitare spiacevoli incontri da quando due turisti s’imbatterono in un grosso e lungo serpente di S. Maria che gli sbarrava la strada, per vedere la famosa “Playa dell’Este”. Una favolosa spiaggia deserta di sabbia bianca tra un tappeto di uva caleta fiorita e la più svariata gamma di blu-verdi-azzurri del mare, nuvole nere in lontananza di un scampato temporale lasciano filtrare i raggi di un abbagliante sole, a riva solo silenzio ed il lieve infrangersi delle onde sulla battigia … benvenuti in Paradiso!!!Nerai ci lascia qui per due ore e si allontana con Michel, dopo avergli commissionato il più buon pranzo nel luogo più bello, ci godiamo questo splendido mare tra mormore grigie e pesci trombetta, finché non vediamo Michel arrivare con un vassoio meticolosamente coperto: il nostro pranzo!Due ottimi piatti di congrì, purè, pomodori freschi, dove nel primo vi è un’aragosta son salsina, mentre nell’altro un grande parago alla griglia, più due bottigliette di acqua! non svegliateci! (tutto per la modica cifra di 5 cuc a testa) da soli e nel più bel ristorante del mondo: Playa dell’Este!. Una guardia ecologica di ritorno alla stazione meteorologica con Nerai passa lungo la battigia della spiaggia e mi regala una bellissima conchiglia rosa che porterò in Italia come splendido ricordo di questo Eden. Alle 15:00 lasciamo la spiaggia e raggiunto Nerai alla stazione meteorologica, salutiamo Michel ringraziandolo ancora per l’ottimo servizio, c’incamminiamo però verso il ritorno e non come avevamo preventivato verso Punta Francese per visitare sia Playa Larga, il Faro di Carapachibey ed l’allevamento di tartarughe di Jacksonville. Alle 16:10 arriviamo al posto di blocco militare dove gli stessi addetti effettuano meticolosamente la solita procedura di controllo e passando per “Pino Alto” y “Julio Antonio Mella” ci dirigiamo verso Santa Fè, dove lasceremo Nerai dalla sua prima famiglia e saluteremmo definitivamente nonché tristemente il nostro amico Juan,. Breve rifornimento di acqua al chiosco-supermercato del Panel 1 di Santa Fè per poi alle 17:00 ripartire soli lungo la carrettera siguanea in direzione Hotel Colony, ci aspettano 46 km di buche ed un simpatico gruppo di mucche che ci sbarra la strada, poiché troppo intente a bere la preziosa acqua piovana contenuta in esse. Alle 17:45 arriviamo stanchissimi all’Hotel Colony, dove dopo un rigenerante tuffo in piscina (ci siamo solo noi e la coppia di tedeschi sino a fine vacanza) ci gustiamo un ottima ananas comprata da Juan e manghi americani per poi crollare esausti.

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12/02/2012 03:35
 
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9° giorno (23 Maggio)

“Il paradiso di Punta Francese”

Alle 08:45, dopo un’abbondante colazione in compagnia della coppia tedesca, aspettiamo nella hall dell’Hotel Colony la navetta Transtur, che ci porterà in 5 minuti alla “Marina di Siguanea”, piccolo porto turistico dell’isola da dove salpano tutte le imbarcazioni per le escursioni di Punta Francese e il Diving (8 cuc a testa x la playa). Il sud dell’isola è molto famoso per i siti d’immersione, sono ben oltre 50 tra cui 2 relitti di navi anni ’70, con spettacolari barriere coralline tra cui pareti di corallo nero e rosso, immense spugne a botte in caverne e grotte tra una miriade di varietà di pesci colorati, insomma un vero e proprio paradiso per gli appassionati di sub (è un Parco Nazionale Marino di 60kmq di cui due terzi sott’acqua). Alle 09:10 l’imbarcazione “Cardenas” con a bordo oltre a noi ed i 3 membri dell’equipaggio, la coppia di tedeschi del nostro hotel ed una canadese, lascia il porticciolo immerso nelle mangrovie, tra gli sguardi assenti dei militari di vedetta della baia che controllano il traffico illegale di scafisti diretti in Messico ed il sole che “raja las piedras”. Dopo circa 1 ora di navigazione, costeggiando un fitta vegetazione di mangrovie ed alte palme al suono di musica caraibica e il riverbero quasi accecante del mare, arriviamo all’estremità più lontana di Punta Pedernales. Una lingua verdissima di mangrovie, ricca di uno straordinario ecosistema dove vi nidificano sule e cormorani, pellicani bruni e colorati pappagalli tra nere fregate che sfrecciano attorno alla nostra barca. All’improvviso l’imbarcazione non vira attorno alla punta dell’isola, ma la attraversa solcando splendide acque basse dal tipico color caraibico verde-turchese, percorrendo un lungo canale costeggiato da fitte e rigogliose mangrovie tra volteggianti fregate e sule. Poco distante, su di un piccolo cayo affiorante dal mare grazie alla bassa marea, un gruppetto di gabbiani ci guarda incuriositi per poi volar via quando l’onda provocata dal nostro passaggio s’infrange sulla bianca sabbia del piccolo scoglio. All’uscita del canale si apre ai nostri occhi un’immensa e meravigliosa baia d’acqua cristallina dalle più svariate tonalità di verde-azzurro, protetta da Punta Pedernales e Francese, accarezzata da un lingua deserta e selvaggia di finissima sabbia bianca contornata da una fitta ed alta vegetazione di palme di ogni tipo, uva caleta e alberi di cedro cubano dove due lunghissimi pontili si protendono per accoglierci, di uno però ne rimangono soltanto i resti dopo gli uragani del 2008. Alle 11:15 la barca ci lascia sul lungo pontile di legno al cui centro svetta un piccolo capanno di paglia con statue lignee di delfini e pesci, che ci porta sino a playa “Punta Francese”, mentre la barca prosegue in mare aperto per effettuare la immersioni con gli altri 3 turisti, per poi attraccare nuovamente qui alle 14 per pranzare a bordo con 10 cuc a testa. La meraviglia dei colori dell’acqua è indescrivibile, (le Maldive non son nulla in confronto), percorriamo circa 100mt di pontile sospesi nel più assoluto silenzio, dato che ci siamo solo ed esclusivamente noi, dove piccoli pesci nuotano in superficie tra cui un trombetta, a riva un piccolo trigone grigio girovaga su un festone di conchiglie, mentre sulla spiaggia una miriade di lettini ammucchiati testimonia la marea di gente che dalle navi da crociera attraccate nelle vicinanze, si riversano qui durante l’alta stagione (ora qui è periodo di chiusura). Ci posizioniamo sotto un albero assaporando questo splendido mare calmo e caldo dai bassi fondali, nuotando sotto il pontile tra diversi e colorati pesci farfalla e balestra, sergenti e argentee mormore, mentre il sole raggiunge il fondale illuminando grandi stelle marine rosse e verdi, tra granchi e gigantesche conchiglie Cobo adagiate a riva, un vero paradiso immerso nel silenzio della natura. In lontananza si odono colpi di scalpello che brandiscono il legno, provengono dall’unico capanno dal tetto di paglia dove alloggiano 3 guardie ecologiche per la tutela della spiaggia, risiedono qui per tutta la settimana dopo aver percorso 5 ore di guagua da Cayo las Piedras. Ci avviciniamo al capanno scorgendo in lontananza alcuni cumoli nuvolosi minacciosi transitare in mezzo al mare mentre incontriamo Carlos, una guardia ecologica che ci racconta che nella notte alcune tartarughe hanno nidificato sulla palya verso punta Pedernales, mentre Pedro, un alto uomo magro dai capelli brizzolati e grandi occhi bianchi che spiccano sulla carnagione nera, continua a modellare le sue scultore, alimentando con scaglie di legno il fumo che esce da un vecchio barattolo di latta, unica efficace protezione dai moschitos purtroppo attivi anche di giorno. Pedro abbozza vagamente due sagome su zocchi di cedro cubano in mezzo ad una montagna di scaglie, pirati che si rifugiarono in questo litorale della baia, tra cui “Francois Leclerc”, famoso pirata del 16°secolo, il primo gamba di legno da cui Cabo Francese prese il nome e l’Olandese, il crudelissimo Jean David Nau, il cui fantasma infesta tutt’ora la playa. Una curiosa leggenda però ha attirato maggiormente la nostra attenzione, quella del famoso pirata “Jean Latrobe” e del suo immenso tesoro mai ritrovato, che si troverebbe ancora oggi sepolto a Punta Francese, a cui deve il nome, immerso nella fitta vegetazione “a 30 passi da una sorgente che bolle o novanta da una roccia a forma di teschio”, come ci conferma Pedro raccontandoci che “è ancora là e qualcuno ogni tanto scava”. Difatti Latrobe fu catturato nel 1809 da una nave battente bandiera statunitense ed impiccato l’anno seguente in Giamaica a Kingston, prima di morire consegnò ad un mozzo una mappa del tesoro affinché la consegnasse al corsaro Lafitte, che però non ricevette mai la pergamena. Sono circa le 14:00 e scorgiamo in lontananza la nostra barca diretta verso il lungo pontile pronta ad accoglierci per il pranzo; salutiamo Pedro e Carlos diretti all’imbarcazione. A bordo il cuoco ci delizia con un ottimo “cerdo in salsa accanto alla falsa copia della nostra pasta alla carbonara, arroz blanco e purè de pata, manga e pina”, ma a noi spettano due enormi aragoste da poco pescate, dal sapore veramente ottimo. Dopo aver pranzato ed aver deliziato la miriade di pesci colorati attorno alla nostra barca con gli avanzi del banchetto, in barca cala il silenzio; l’equipaggio si è appisolato sui lettini del capanno di paglia a metà pontile mentre altri hanno preferito le calde assi lignee della passerella. Tutto tace in questo assolato pomeriggio quando all’improvviso si ode un gran tuono, il vento si alza frettolosamente mentre cupe nuvole riversano un battello d’acqua solo in mare lasciando a riva un accecante sole. Le onde s’ingrossano vistosamente portando la barca a sbattere contro le protezioni del pontile, tanto da decidere di lasciare quello che fino a poco fa era considerato un tranquillo paradiso, per proseguire in mare aperto, dove la coppia di tedeschi effettuerà un'altra immersione tra le meraviglie di questi fondali illuminati dai flash dei lampi. Son circa le 16:00 e la bufera non accenna a placarsi, anzi il vento aumenta le onde a tal punto da non riuscire a posizionare la barca contro di esso, ma la porta a rivolgersi verso la poppa aperta, dove un improvviso e violento “graniso” (grandine grossa come noccioline) la allaga e pervade di ghiaccio mentre i sub sono ancora in mare, noi ci rifugiamo tutti in cambusa nella speranza termini al più presto. Dopo circa 20 minuti tutto improvvisamente si placa, recuperiamo i sub che nemmeno si sono accorti delle onde grosse e della grandine per poi alle 16:30 riprendere la via del ritorno verso la “Marina”. Rispunta immediatamente un caldo sole che ci accompagnerà per un ‘ora e mezza finché alle 18:00 entriamo nella baia del porto sotto i soliti sguardi assenti dei militari (a Cuba non fare oggi quello che puoi tranquillamente far domani!!!). Salutato l’equipaggio della barca, saliamo sulla navetta Transtur che in 5 minuti ci porta all’Hotel Colony, dove in compagnia dei tedeschi Hardy e Biggi ci rilassiamo con un tuffo in piscina ed un buon mojito, fino ad assaporare un arancione sole che gioca a nascondino tra le fronde delle palme prima di tuffarsi in mare, per poi gustarci un ottima pina e crollare in camera

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12/02/2012 03:35
 
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10° giorno (24 Maggio)

“Another day in Paradise for you and me...”

Le meraviglie di Playa Francese ci sono rimaste davvero nel cuore così anche questa mattina, dopo aver fatto colazione, aspettiamo insieme alla coppia tedesca la navetta che ci riporterà a “Marina di Siguanea”, dove alle 09:20 salperemo nuovamente per “Punta Francese” accompagnati da “Another day in Paradise di Phill Collins”. Anche oggi sotto un caldissimo sole, attraversiamo Punta Pedernales lungo il canale di rigogliose mangrovie, mentre strani pesci grigi affusolati guizzano e saltano sulla superficie dell’acqua accanto ad una vegetazione sorvolata da ogni sorta di uccelli, per poi giungere alle 11:10 circa, sulle note di “Sacrifice di Elton Jhon” (già che sacrificio!!!) a Playa Francese. La barca ci lascia come il giorno precedente sul lungo pontile lambito da splendide e trasparenti acque, avvisandoci di minacciose e nerissime nubi all’orizzonte, prevedendo che tra un ora sicuramente avrebbe piovuto. Scarichiamo in fretta le cisterne d’acqua per le guardie ecologiche ed un secchio di ghiaccio, per poi dirigerci al loro capanno di paglia intenzionati a portarci a casa un autentico ricordo di questo meraviglioso luogo. Incontriamo nuovamente Pedro, che ci informa che non sarebbe riuscito a finire il grande pirata ed a sagomare una tavoletta di cedro con i contorni geografici del “Isla de la Juventud” entro le 14:00 (orario in cui la barca ci avrebbe recuperato) e che saremmo dovuti tornare anche l’indomani per ritirare il tanto ambito ed autentico souvenir. Ci godiamo anche oggi queste verdi-azzurre acque nella più totale pace della natura (anche oggi siamo solo noi!) tra granchi e pesci trombetta, conchiglie cipree e piccole cobo, finché purtroppo alle 13:15 inizia una forte e battente pioggia tropicale che ci costringe a ripararci nel capanno delle guardie, senza luce né acqua corrente, in compagnia di infestanti moschitos, sino all’arrivo della barca alle 14:00. Sotto una persistente ed intermittente pioggia percorriamo il lungo pontile fino alla barca dove un uccello marrone dal becco giallo si riposa per niente infastidito dalla nostra presenza tanto da permetterci di toccarlo, per poi pranzare a bordo con due ottime aragoste. Alle 15:20 la pioggia si ritira in favore del sole; lasciamo Punta Francese per dirigerci in mare aperto, dove la coppia di tedeschi effettuerà un'altra immersione mentre noi ci diletteremo facendo snorkeling dall’alto di un fondale di circa 12 mt, una vera prateria di gorgogne gialle e viola, pesci balestra blu e lunghi barracuda che si avvicinano incuriositi, tra scie lasciate sulla sabbia dalla marcia di grandi cobo rosa e tantissimi altri pesci colorati. Saliti a bordo e recuperati i sub, alle 16:20 solchiamo un calmissimo mare per un’ora e mezza per poi attraccare alla Marina alle 18:00 dove la nostra consueta navetta ci riporterà in hotel costringendoci a rinchiuderci purtroppo in camera, data la miriade di moschitos e l’imminente diluvio delle 19:30. Lampi e fulmini illumineranno a giorno la baia, persistendo per tutta la notte sino alla mattina seguente, dove verremo svegliati all’alba da alcuni granchi di terra, che cercano riparo arrampicandosi sui vetri del nostro bungalow

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12/02/2012 03:37
 
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11° giorno (25 Maggio)

“Il recupero del pirata Francois Lecler”

Oggi mentre aspettiamo la navetta delle 09:00 per la Marina insieme ad Hardy e Biggie, sopraggiunge frettolosamente nella hall dell’hotel una camionetta di militare che entra chiedendo informazioni alla receptionista Yamilà, per poi diversi fra i servizi e gli edifici del complesso alberghiero. Giunti al porto partiamo per Punta Francese, ma stavolta oltre ai soliti amici tedeschi, con noi ci saranno un altro istruttore di sub cubano e due giovani fratelli finlandesi venuti da Nueva Gerona sin qui con la guagua del personale di servizio. Il percorso si articola come i giorni precedenti tra splendide mangrovie e sfreccianti uccelli sotto un tipico sole caraibico, sino ad attraccare alle 11:15 al lungo pontile di “Playa Francese”, ogni volta meravigliati da questo incantevole e paradisiaco luogo come fosse la prima volta. Sentiamo in lontananza lo scalpellare di Pedro che senza fermarsi un istante ci dice di aver lavorato tutta la notte per delineare la nostra isola ormai pronta, mentre il pirata è visibilmente in fase di terminazione. Oggi non ci sono ne Carlos ne l’altra guardia ecologica, chiediamo informazioni a Pedro che ci spiega che stamattina la polizia li ha avvisati della presenza di uno scafista ricercato ormai da 7 gg nascosto nella fitta vegetazione (tratta di persone con il Messico), armato di pistola, ma senza acqua né cibo, probabilmente poco distante dal capanno, così gli altri sono andati a scovarlo insieme alla polizia. Ora intuiamo il perché della visita della polizia in mattinata, stava cercando gli altri eventuali tre complici perlustrando il nostro hotel. Lasciamo Pedro lavorare e ci tuffiamo ahimè per l’ultima volta in questo eden marino, anche oggi soli tra le onde di questo limpido e caldo mare incorniciato da una fitta vegetazione di diverse palme e sabbia bianca. La mattinata trascorre rilassante nonostante un accenno di pioggia subito destituito da un limpido e torrido sole caraibico, quando però in lontananza vediamo arrivare ed attraccare la nostra barca, ma sono solo le 13:00!Raggiungiamo l’imbarcazione dove pranzeremo anticipatamente con un ottimo cerdo e pollo con patate, pasta e riso, oltre a frutta e verdura, deliziando ancora una volta con i nostri avanzi i colorati pesci attorno al pontile. Tranne il capitano, tutti scendiamo dalla barca per riposarci o rilassarci al sole sul pontile lasciandosi abbracciare da Morfeo, quando però improvvisamente ci accorgiamo che la barca ha mollato gli ormeggi e si sta allontanando, ma siamo tutti qui…! Il capitano appisolato si sveglia immediatamente ai nostri richiami ed attracca prontamente al pontile. Sono le 14:00 e Pedro sta ancora lavorando, nel frattempo perlustriamo il fondale con lo snorkeling nelle vicinanze della barca, fra branchi di pesci gialli ed argentei, grandi stelle marine rosse e qualche conchiglia farfalla, per poi imbatterci in una grandissima e coloratissima conchiglia tritone intenta in una lenta marcia verso una prateria di alghe verdi (l’ingresso del mollusco è arancione e nero intenso). Sono le 15:00 e Pedro è riuscito a terminare il nostro pirata, una scultura di cedro cubano adagiata su un piedistallo a forma di Isola de la Juventud, un vero capolavoro; si tratta di Francois Lecler, il primo gambadilegno nonché il suo corsaro preferito. Ora possiamo purtroppo mollare gli ormeggi e partire verso il mare aperto, non distogliendo mai lo sguardo da questo meraviglioso luogo, riempiendoci il più possibile gli occhi di immagini dai vividi colori per l’ultima volta, che rimarranno per sempre impresse nella nostra memoria. Dopo un ulteriore immersione da parte degli altri turisti, mentre noi ci godiamo in relax il sole di questa splendida isola nel nostro ultimo giorno di permanenza, alle 16:30 riprendiamo la via del ritorno incrociando un vecchio ed arrugginito peschereccio, per poi attraccare al porto alle 18:00, dove la navetta ci porterà in hotel per purtroppo preparare la valigie, poiché l’indomani ci aspetta il volo per l’Habana
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12/02/2012 03:38
 
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12° giorno (26 Maggio)

..ritorno all'habana..

La nostra giornata inizia molto presto, circa alle 06:00, mentre il sole rende solo un po’ più chiare le immagini scure della notte, chiudiamo per sempre il nostro bungalow nel silenzio più assordante (tutto tace: i tedeschi dormono ancora, in lontananza solo 3 guardie di sorveglianza e qualche pescatore di frodo con grandi granchi), alla reception salutiamo Yamilà, che ci ha fatto preparare la colazione da portar via (biscotti e sandwich al jamon y cheso) volgendo un ultimo sguardo all’Hotel Colony. Stiamo per lasciare questa vacanza d’evasione ed in parte un po’ avventurosa, per raggiungere Nueva Gerona percorrendo i soliti 46 km: il sole deve ancora sorgere ed un falco ci guarda dall’alto di un traliccio elettrico, mentre per strada gli zoccoli di magri cavalli lambiscono già l’asfalto pronti a tornare nei campi, fioche luci di case compaiono tra la fitta vegetazione mentre un contadino governa già un aratro trainato da buoi. Lungo i pochi agglomerati di case di “La Melvis” e “El ronco” le bambine orgogliose della divisa scolastica rossa, blu e bianca sono già sul ciglio della strada in attesa che un carro o una guagua possa dar loro un passaggio sino a Nueva Gerona. Molte persone s’incamminano a piedi già alle prime luci dell’alba e percorrono interminabili chilometri con disarmante normalità per giungere al lavoro o semplicemente reperire cibo ed acqua. Alle 06:40 arriviamo a Nueva Gerona in calle 39 al Rent a Car della “Cubacar” per consegnare l’auto e sbrigare le pratiche del caso, (una vera comodità data la mancanza di autobus e treni sull’isola), poiché è impossibile per noi arrivare autonomamente in aeroporto. E’ considerato zona militare con tanto di recinzione e posto di blocco della polizia dove ci viene richiesto il passaporto all’ingresso dell’area nonostante ci accompagnasse il titolare del noleggio, che gentilmente aveva anticipato per noi l’apertura alle 06:30 anziché alle 9. Alle 06:50 siamo al check-in dell’ “Aeroporto Rafael Cabrera Mustelier”, un'unica stanza con due postazioni per il ritiro biglietti ed un piccolissimo negozio in cuc con i soliti articoli di prima necessità, mentre enormi condizionatore congelano tutti i presenti. Lasciate le valigie, un addetto ci comunica di posizionarci nella sala accanto da dove entreremo direttamente in pista senza prima però aver effettuato un primo controllo del bagaglio a mano e corporeo con metal detector per accedere all’unica entrata della piccolissima sala ed un ulteriore perquisizione singola del bagaglio stesso, per accedere nel piazzale di cemento che ospita il nostro vecchio aereo l’Antonov-24 russo degli anni ’50-’60 della Cubana de Aviacion”. Alle 08:36, in anticipo di 4 minuti, le ruote del carrello si ripongono direttamente solo le ali del vecchio aereo salutando per sempre questa splendida e selvaggia isola che fino all’ultimo ci appare nel suo splendore regalandoci bassi fondali verdi, piccoli isolotti disabitati ed una verde vegetazione dell’Arcipelago de los Canarreos. Alle 09:00, dopo soli 24 minuti di volo, atterriamo all” Aeroporto Josè Martì” dell’Habana, dove subito entriamo in possesso delle nostre valigie e siamo pronti a contrattare una corsa in taxi che ci porti nel quartiere “Centro” allo storico “Hotel Sevilla” per 20 cuc

[Modificato da ladillita. 12/02/2012 03:39]
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22/02/2012 09:38
 
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Salve, chiedo un'informazione per verifica di quanto riferito da amici
cubani. Arrivando a Batabanò con auto a noleggio ci si può imbarcare quando si vuole senza problemi o ci sono da espletare formalità particolari ? E poi una volta sbarcati ci si può spostare autonomamente
con l'auto o hai restrizioni, come mi dissero ? Grazie...
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22/02/2012 21:55
 
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Re:
Comodoro 96, 22/02/2012 09.38:

Salve, chiedo un'informazione per verifica di quanto riferito da amici
cubani. Arrivando a Batabanò con auto a noleggio ci si può imbarcare quando si vuole senza problemi o ci sono da espletare formalità particolari ? E poi una volta sbarcati ci si può spostare autonomamente
con l'auto o hai restrizioni, come mi dissero ? Grazie...



hola comodoro96 y [SM=g2823335]

,
come ti chiedevo altrove sarebbe opportuna una tua minima presentazione qua
cubaalmicroscopio.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10017107&...
dato che in 4 post non ci hai raccontato molto su di te.. [SM=g7557]
scrivevi altrove con altri nick?..quali?
sei stato a kuba molte volte?..mai alla Isla?..e perche' ora ci vorresti andare? [SM=g7566]

riguardo alle info che chiedi,


sicuramente il Sud della Isla
vedi mapas:
cubaalmicroscopio.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=...
oltre che scomodo da raggiungere su strade da camel-trophy ,
è bastante off-limits
nel senso che non ci puoi girare( ci sta un punto de control a cayo piedra..)senza una preventiva autorizacion che ti danno nella piccola oficina di Flora e Fauna nei pressi del porticciolo di Nueva Gerona..
e ci devi andare con un guia obbligato(come citato nel report sopra [SM=g6076] )..
è zona de parque ,tambien militar e con trafico di droga via mare..per cui obiettivamente soggetta a diversi limiti sebbene abbia un fascino di wilderness.. [SM=g7563]

sui collegamente via mare ,la Isla è servita tramite dei catamarani(sui 55 cuc a cabeza la tratta..) che impiegano sulle 4 horas a coprire il tratto Batabano'-Nueva Gerona..
sono catamarani che imbarcano prevalentemente gente ma non saprei se facciano pure servizio traghetto..e in ogni caso no me parece per nulla scontato trovare posto tan facil [SM=g7574]
..per cui a Batabano' è meglio arrivare con adeguate garanzie del passaje..(non mi chiedere come e donde procurartele..)
un mio chofeur che è un aleman lungoresidente alla Isla viaggia cmq p.e hacia la capitale col suo Athos blanquito adibito a taxi ..ma non vorrei che ,per il servizio [SM=g6277] traghetto si debba ricorrere per forza a un altro tipo de barco..tipo una chiatta molto lenta che ci mette tipo 8 horas.. [SM=g7531]
e a quel punto meglio chiamare e reservare presso la piccolissima e unica rentacar [SM=g6277] della Isla, [SM=g7562]
come del resto hanno fatto gli autori del simpatico e dettagliatissimo report qua sopra..


[Modificato da ladillita. 22/02/2012 22:02]
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