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Dio a L’Avana: gli interessi del Vaticano a Cuba

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2012 00:56
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07/04/2012 00:56
 
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Dal 23 al 29 marzo si è svolta la visita di Benedetto XVI in Messico e a Cuba. Delle due tappe, quella che più ha suscitato curiosità e interesse nell’opinione pubblica e nei media nazionali e internazionali è stata senza dubbio quella nell’isola caraibica, probabilmente per l’associazione con l’analoga missione pastorale di Giovani Paolo II avvenuta 14 anni fa.

Proprio il parallelismo con quel viaggio, definito “storico” dagli osservatori coevi e oggetto di una compulsiva copertura mediatica, consente di fare alcune osservazioni sul significato e sulle conseguenze del 23° viaggio internazionale dell’attuale pontefice.

Va segnalato innanzitutto che nel gennaio del 1998 il bilancio di Wojtyla fu estremamente positivo in termini di progressi nel rapporto Stato-Chiesa. Al di là dello storico incontro tra il papa che aveva “sconfitto” il comunismo e uno dei più importanti e longevi leader comunisti mondiali, la Santa Sede riuscì ad ottenere il pieno riconoscimento della liberta religiosa (di tutte le religioni non solo quella cattolica) e della Chiesa cattolica locale come attore della società cubana.

Per la prima volta nella lunga storia del castrismo, si registrò un’apertura dello Stato verso il clero cubano, sino ad allora messo ai margini, viatico del suo protagonismo negli anni seguenti. Non era un risultato scontato, tanto più che per quella visita servirono moltissimi anni di negoziati e un lavoro diplomatico lungo, faticoso e laborioso.

Per l’Avana il risultato più importante fu la legittimazione del regime castrista. Cuba, allora, stava vivendo un momento di stagnazione economica e di grande isolamento internazionale, sicuramente molto più grande di quello che si registra oggi: rispetto a 14 anni fa, il regime può contare sul sostegno di un gruppo di paesi guidati da leader di sinistra (Venezuela, Bolivia, Ecuador, ma anche il Brasile per citarne alcuni).

Nonostante la scomparsa del paracadute socialista, l’assenza di interlocutori privilegiati nel subcontinente latinoamericano e l’ostracismo dell’amministrazione Clinton, Cuba poteva sentirsi ancora parte della comunità internazionale.

In tal senso, c’è un parallelismo tra la visita del 1998 e quella di questi giorni. Anche stavolta L’Avana porta a casa visibilità e, opportunamente strumentalizzata, legittimazione del castrismo - nonostante l’uscita di scena nel 2008 di Fidel e un sostanziale immobilismo sul piano politico. Resta comunque inalterata la condanna del regime castrista da parte di Washington. Come dimostra l’opposizione dell’amministrazione Obama alla partecipazione di Cuba al prossimo vertice delle Americhe di Cartagena, in Colombia, a metà aprile, gli Stati Uniti sono contrari a riconoscere l’isola come attore a pieno titolo della comunità americana.

Va sottolineato, tuttavia, che rispetto alla coppia Ratzinger/Raúl Castro c’erano maggiore sintonia e molti importanti punti in comune tra il líder máximo e Wojtyla, che pure appartenevano a mondi completamente opposti. In primo luogo, la critica al capitalismo selvaggio esplicitata attraverso la condanna dell’individualismo, del mito della ricchezza, del benessere materiale e del consumismo, nonché la condivisione del solidarismo e della spiritualità, sebbene declinata in modo differente.

In secondo luogo, al forte protagonismo sulla scena mondiale di quel pontefice fa da contraltare, seppur nella continuità sottaciuta del suo pontificato, una dimensione sostanzialmente domestica di Benedetto XVI e un impegno molto più discreto nella costruzione di un nuovo ordine post-capitalista.

In terzo luogo, se nel 1998 al centro della scena c’era il papa (e ovviamente c’era anche Fidel), adesso c’è stata la Chiesa cubana. Si può parlare in un certo senso di gioco di sponda tra la Santa Sede e la gerarchia ecclesiastica locale o, detto in altri termini, di una sorta di riconoscimento da parte del Vaticano del ruolo che la seconda si è ritagliata in questi ultimi anni nella società cubana e che ha svolto in merito all’opera di mediazione umanitaria con i dissidenti e per la liberazione dei “prigionieri per reati politici” (insieme alla Spagna di Zapatero).

Con la sua visita, Ratzinger non si è proposto esclusivamente di rendere omaggio all’azione di pacificazione nazionale dei suoi rappresentanti a Cuba. A ciò occorre, infatti, affiancare l’obiettivo di far sì che essi ottengano nuovi e più solidi spazi di visibilità e di protagonismo nella società cubana - in particolare in “campo educativo, comunicativo, sanitario” come ha ricordato padre Federico Lombardi - ma anche nel dibattito politico.

In tal senso, si può azzardare che, con i tempi lunghi propri della Chiesa, la gerarchia ecclesiastica cubana stia preparando il terreno per la fine del castrismo, cioè che intenda proporsi, grazie alla legittimità e alla credibilità guadagnata in questi anni, come un referente autorevole per il sistema partitico post-castrista, e non solo per un futuro partito democristiano o, comunque, di ispirazione cattolica.

Se nel 1998 ci si proponeva di far entrare Dio a L’Avana, la sfida del presente e del futuro è quella di costruire spazi di partecipazione dei cattolici affinché essi diventino interlocutori indispensabili per disegnare nuovi equilibri sociali e politici.
(4/04/2012)
temi.repubblica.it/limes/dio-a-lavana-gli-interessi-del-vaticano-a-cu...
Raffaele Nocera è professore di Storia dell’America Latina, Università di Napoli “L’Orientale” (rnocera@unior.it)
È autore di Chile y la guerra, 1933-1943, Santiago, Lom-Dibam, 2006; Stati Uniti e America Latina dal 1823 a oggi, Roma, Carocci, 2009; con Claudio Rolle Cruz (a cura di), Settantré. Cile e Italia, destini incrociati, Napoli, Think Thanks, 2010.
(4/04/2012)


- 'No hay mal que dure 100 años ni pueblo que lo resista'.

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