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La rivoluzione cubana diventa un fumetto

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2012 11:27
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Domenica 08 Luglio 2012 00:13
Cuba: la mia rivoluzione
Scritto da Valerio Coppola
Nei primi giorni del 1959 i “barbudos” che da tre anni avevano condotto una capillare guerriglia sulle sierras cubane, entrarono a L’Avana, mentre il dittatore sostenuto dagli Stati Uniti, Fulgencio Batista, prendeva il volo per fuggire dall’isola. Alla testa dei rivoluzionari stava Fidel Castro, capo indiscusso e ispiratore del movimento, che da subito prese in mano le redini del nuovo governo rivoluzionario. Seguendo i principî del socialismo e dell’egualitarismo, la nuova Cuba impose la totale nazionalizzazione dei latifondi e della grande industria che per decenni avevano dominato l’isola, avviando al contempo un’immane opera di alfabetizzazione delle masse contadine e la loro “formazione” alla rivoluzione. Nei primi anni, Castro perseguì con tenacia un disegno di modernizzazione socialista della società cubana, adottando una retorica propagandistica e tecniche cameratesche per irreggimentare la cittadinanza, e avviando così quella che sarebbe stata la dittatura più duratura dell’America Latina. Da subito osteggiata dal potente vicino statunitense, Cuba dovette soffrire importanti privazioni materiali, ricadendo così nella sfera d’influenza sovietica e volgendo verso una deriva di tipo leninista (rispetto a cui importanti figure come Ernesto “Che” Guevara non tardarono a distanziarsi).
Di quei giorni, mesi e anni, si è soliti dividersi in rappresentazioni fortemente romanzate e idealizzate, oppure in critiche feroci e altrettanto ideologiche. Rari, invece, sono racconti più sfumati e articolati, quelli di chi magari ha vissuto quel periodo con intimo travaglio. Cuba: la mia rivoluzione è un racconto di questo tipo.

Esordendo nel mondo del fumetto sotto l’etichetta Vertigo, Inverna Lockpez imbastisce un racconto in buona parte autobiografico. L’autrice ripercorre proprio quei primi cinque anni in cui la rivoluzione cubana assunse le sue caratteristiche definitive e repressive, il tutto attraverso una prospettiva personale: a un primo momento di entusiasmo per l’esperienza castrista, dunque, segue il progressivo e faticoso germogliare del dubbio, fino alla sofferta rottura finale.
La prima parte del volume è forse la meno riuscita dal punto di vista della narrazione: è evidente come la Lockpez non riesca a reimmedesimarsi (e a far immedesimare) davvero nell’iniziale, genuina convinzione per le ragioni della rivoluzione: oltre a non essere posto nessun vero accento sulle riforme sociali effettivamente introdotte, l’entusiasmo di Sonya, la protagonista, viene tratteggiato in maniera superficiale e artificiosa, dando l’idea di una sciocca ragazza indottrinata e cieca all’evidenza. In questi passaggi è evidente come l’autrice non riesca a reprimere l’astio di oggi verso la rivoluzione e verso la se stessa di ieri, ma così facendo ne risente in qualche modo la qualità generale del racconto, eccessivamente teso a trasmettere una (troppo) determinata idea.

Molto più fluido e riuscito è il successivo percorso di crescita, di uscita critica dalla dottrina castrista, rispetto alla quale la narrazione si fa più autentica. Vero motore del cambiamento non sono tanto le pur rilevanti violenze fisiche e la repressione subite dal regime, né le mancanze materiali e l’embargo che la società cubana si trovava a sopportare: tutto ciò sembra non riuscire a far crollare la fiducia nella guida del “líder máximo”. La progressiva emancipazione è invece frutto di un diverso tipo di violenza, legata alla professione/passione della protagonista (che è poi la stessa dell’autrice), ossia la pittura. Il controllo ossessivo imposto da Fidel Castro sull’intera società cubana non ammette deviazioni dal disegno rivoluzionario, e ciò comprende qualsiasi istanza di espressione personale, arte compresa. È rispetto a questa oppressione che Sonya sente nascere in sé un’avversione rispetto al regime e alla sua infallibilità dogmatica. Ecco che allora la donna si ribella all’imposizione, ed è qui che ella attua, dentro di sé e con dolore, “la sua rivoluzione”.

Pur nuova al medium, Lockpez rivela una scrittura nel complesso ben calibrata e adatta ai tempi fumettistici. Si notano alcune ingenuità e qualche scivolamento didascalico, ma in compenso colpisce la strutturazione del racconto, con l’inserimento di una serie di elementi di contorno ricorrenti che contribuiscono positivamente all’efficacia complessiva.
Di buon livello i disegni puliti di Dean Haspiel, con uno storytelling di ordinata sequenzialità, pur essendo capace, in certi momenti, di sorprendere il lettore con buone trovate sia estetiche che di costruzione della tavola.
Dal punto di vista grafico, tuttavia, l’elemento di maggior particolarità sta nei colori di José Villarubia (Promethea), che imposta una doppia scala cromatica, di grigi e di rosa-rossi. Questi sprazzi di violenti toni rubino non sempre paiono seguire una logica chiara: possono evidenziare sangue, passione e rivoluzione, possono enfatizzare particolari elementi nella tavola o nella vignetta, ma spesso e volentieri la loro funzione non è diversa da quella più “normale” dei grigi. Ad ogni modo, la scelta, valsa al colorista un Harvey Award, non manca di conferire a questo volume una sua peculiare identità grafica.

Pur in formato ridotto, di buon livello il volume targato BAO, cui avrebbe magari giovato maggiormente qualche informazione biografica sull’autrice, così da rendere apprezzabili alcune scelte narrative da lei operate nella storia.


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