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Io, cubano, «esiliato» nel mio Paese

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2013 21:16
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Il dissidente: «Al governo non interessa arrestare le persone ma non vogliono che i cittadini entrino in contatto tra loro»

STRASBURGO Cuba, la Rivoluzione, Fidel Castro e poi ancora il fratello Raul. L’eredità politica e quella scomoda, dei dissidenti politici che risiedono sull’isola. Guillermo Fariñas, premio Sakharov 2010 (premio ritirato al Parlamento Europeo nel 2013), è un fiume in piena mentre racconta la sua, personalissima, rivol uzione. E lo fa a Strasburgo, con modi scrupolosamente ponderati, stretto in un abito bianco. Dissidente politico da decenni, ha condotto Oltreoceano lotte non violente e scioperi della fame che hanno fatto Storia.

Guillermo Fariñas , Potrebbe parlare della sua esperienza a Cuba?

«Cuba è un Paese con una caratteristica, è un Paese sui generis perché funziona “terrorizzando” la gente. Negli anni passati, nei primi anni della Rivoluzione, sono stati uccisi un numero molto alto di oppositori. Ora il governo ha paura che l’opposizione si organizzi e, quindi, cerca di fare due cose: in primo luogo fa in modo che, l’opposizione, sia esiliata. E, in secondo luogo, quella che rimane fa di tutto perché sia disorganizzata e non possa seguire un’ideologia unica. La polizia agisce come le vostre camicie nere, terrorizzando i cittadini. Vuole soltanto che non entrino in contatto l’uno con l’altro. Al governo non interessa "bloccare" la persona. Non è, insomma, che arrestino le persone, però cercano di impedire che si mettano insieme».

Dove vive ora?

«A Santa Clara, la città principale della regione Centrale. Una città con una tradizione anticomunista molto forte, con caratteristiche mediterranee».

Ha scritto un libro di sue memorie, o lo sta facendo?

«No».

Come rappresenta per lei il premio Sakharov che il Parlamento Europeo le ha assegnato nel 2010?

«Il premio Sakharov non è una cosa che cerchi, ma è una cosa che Dio e che la vita di offrono. Il mio obiettivo era aiutare un gruppo di oppressi politici di cui avevo letto. E, con mia grande sorpresa, sono stati liberati prima che io morissi. Pensavo che sarei morto e, invece, li ho visti liberati».

Cosa è cambiato dopo il premio?

«Il Premio Sakharov ha portato il problema all’attenzione dell’opinione pubblica».

È mai riuscito mai a parlar con Fidel Castro, per sottoporre a lui i problemi dei dissidenti politici?

«No, ero un oppositore».

E, comunque, è riuscito in qualche modo a trattare con le sfere più alte?

«No».

Lei ha portato avanti 23 scioperi della fame. Come sta lottando, ora, contro il Regime?

«Per il momento non c’è modo di far entrare in contatto l’Opposizione con il governo di Raul Castro. Il governo di Raul Castro, quando parla dell’opposizione, parla solo per screditarla. Bisogna rimandare tutto alla prossima generazione di castristi. Prima di tutto occorre liberare i prigionieri politici, accettare il dialogo e parlare con me e con coloro che stanno all’opposizione. Perché ci sia una transizione in Cuba deve essere cercata. Il governo di Castro ci disconosce. Cercherò il dialogo, per sapere su che punto possiamo metterci d’accordo. Finché il governo pensa che non possiamo esprimere la nostra necessità di cambiamento, non possiamo trattare. E non abbiamo alcun tipo di speranza che questo tipo di cambiamento avvenga sotto il governo di Fidel e Raul Castro. La speranza è che, tra i prossimi 3-5 anni, gli eredi del governo attuale accettino il dialogo e riconoscano l’opposizione, e arrivino a dialogare».

«Finché non muore Fidel Castro. Nel momento in cui morirà, la prima cosa che dovrà fare il governo è, appunto, cercare il dialogo. Stiamo facendo un’opposizione totale tramite i giornali, i video, un’opposizione totale. L’azione che facciamo noi è che, lo stesso pensiero, appaia sui giornali, sulle televisioni, tramite la distribuzione dei documenti. Stiamo cercando di fare operazioni civiche per le strade, organizzando qualsiasi tipo di manifestazione di opposizione ci sia. Un’opposizione integrale. Lo stesso concetto e lo stesso programma lo mandiamo su mezzi di comunicazione diversi. E, in secondo luogo, appoggiamo qualsiasi azione civica si svolga, sostenendola. A 360 gradi. Sono tutte forme di opposizione non violenta, che portano a una contestazione sociale e non politica. Il governo ha paura di questa contestazione. La paura viene manifestata attraverso questi atti di polizia paramilitare, come le camicie nere. La lotta porterebbe a una rivoluzione sociale, non politica».
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