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Cuba, quale democrazia?

Ultimo Aggiornamento: 02/01/2014 11:31
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02/01/2014 11:31
 
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Lo scrittore Philip K. Dick diceva che «uno Stato non è migliore di chi lo guida», ma parafrasandolo si potrebbe anche sostenere che non è migliore nemmeno di chi ci abita. Se, infatti la crisi ha creato un divario apparentemente incolmabile tra governanti e governati, eletti ed elettori, la colpa non può essere addossata solo ai primi. Forse, oltre a ciò che mangiamo, siamo anche ciò che votiamo. Ma mentre in tanti sostengono che il vuoto democratico scaturisce da una colpevole rinuncia da parte del popolo a svolgere il ruolo sovrano che la Costituzione gli garantisce, c’è chi si spinge oltre, fino a mettere in dubbio la validità stessa del sistema di democrazia rappresentativa. Per costoro, è la stessa struttura istituzionale in vigore Paesi occidentali che impedisce ai cittadini di partecipare attivamente alla vita politica e li confina a vittime di decisioni prese altrove.

Così la pensa anche Arnold August, che nel suo libro ‘Cuba e i suoi vicini: democrazia in movimento’, analizza quel fenomeno tipicamente latino-americano chiamato ‘grassroots democracy’, o democrazia partecipativa, presente in declinazioni diverse in Venezuela, Ecuador, Bolivia e, soprattutto, Cuba. Stati socialisti o comunisti che, almeno sulla carta, offrono al popolo più potere decisionale. Un modello, quello cubano in particolare, che gran parte della comunità internazionale, numerose organizzazioni non governative e mezzi di comunicazione occidentali definiscono ‘antidemocratico’ e ‘dittatoriale’, ma che secondo l’autore offre gli spunti per riprendere contatto con gli autentici valori democratici. Ma Cuba è davvero una democrazia? E solo il socialismo è un modello realmente democratico? Secondo August, sì.

Al di là delle tesi provocatorie e quasi borderline di August, questa intervista aiuta a comprendere meglio il dibattito sui diritti civili a Cuba, e offre ottimi spunti per riflettere sulla natura poliforme del concetto di democrazia.



August, quali sono le tesi principali del suo libro, Cuba e i suoi vicini: democrazia in movimento?
L'obiettivo fondamentale è smontare le nozioni preconcette dell'Occidente, come quelle vigenti negli Stati Uniti o in Italia, riguardo alla democrazia che esiste oggi nel Sud, quello che a volte è definito Terzo Mondo. In questo senso comincio tracciando la nozione eurocentrica di democrazia emersa dal dominio coloniale europeo negli ultimi cinque secoli. Questa visione dipinge l'Occidente come l'unica fonte per definire la democrazia. L'eurocentrismo fu poi sostituito dagli USA nel momento in cui diventarono la nuova potenza neo-coloniale e imperialista. Dunque la nozione di democrazia che ruota intorno agli USA è l'ostacolo principale che impedisce alle persone di apprezzare le diverse esperienza democratiche dell'area di cui mi sono occupato, l'America Latina e i Caraibi. Per spiegare ulteriormente questo aspetto ho dedicato un capitolo intero alla democrazia statunitense e ai suoi reali meccanismi di funzionamento per dare un esempio di uno dei sentieri che può prendere la democrazia. In seguito, illustro altri approcci di sviluppo in Venezuela, Bolivia, Ecuador e i loro rispettivi percorsi verso la democrazia, a cominciare dall'elezione di Hugo Chavez nel 1998. Una volta che i lettori possono comprendere il bisogno di uno sguardo pluralistico verso la democrazia, mi occupo del caso più controverso e dibattuto, esaminando il processo elettorale di Cuba. Uno dei temi principali che attraversa il libro è il bisogno di vedere la democrazia non come una struttura fissa, ma piuttosto come un processo costante, e di qui il termine democrazia, o democratizzazione, in movimento. In questo contesto, la chiave per un reale sviluppo in qualunque Paese è in quale misura la democrazia partecipativa si sta sviluppando.

Una domanda scontata ma prevedibile. Come può uno Stato come Cuba, in cui Fidel Castro e in seguito suo fratello Raul sono rimasti al potere per quasi mezzo secolo, e in cui l'unico partito rilevante è il Partito Comunista, definirsi una democrazia?
Si tratta di una domanda scontata e prevedibile perchè i mezzi di informazione statunitensi e anche molti dei principali media italiani continuano a fare disinformazione. Questa si basa su una visione politica incentrata sul modello degli USA per cui il numero dei partiti esistenti in un Paese è il fattore che discrimina se una democrazia è tale o meno. Io dire che il vero test per giudicare se una democrazia è tale è domandarsi quanto rispetti il precetto costituzionale (come esiste anche nella Costituzione cubana) che la sovranità appartiene al popolo. La leadership iniziale della Rivoluzione sul finire degli anni 50 e in seguito il Partito Comunista dalla sua fondazione nel 1965 hanno fatto di tutto perché questo precetto costituzionale fosse applicato, e sono stati fatti sforzi straordinari per sviluppare un tipo di democrazia partecipativa in cui le persone venissero coinvolte, diversamente da quella negli USA. Per quanto riguarda il ruolo individuale dei Castro nel corso di tutti questi anni, entrambi i fratelli hanno governato non imponendosi, ma guadagnandosi il rispetto di gran parte del popolo. Sono stati eletti al parlamento dal popolo. Anche se i cittadini non sono affatto obbligati a votare (possono anche depositare scheda bianca o nulla) entrambi i Castro sono stati eletti nel corso degli anni con più del 95% dei voti. Una volta insediatosi, il Parlamento nomina e vota, tra i deputati eletti, il Presidente del Consiglio di Stato. Se il suggerimento dietro la sua domanda è che ci sia qualche tipo di dinastia, mi spieghi allora come è possibile che il nuovo vice-Presidente sia Miguel Diaz-Canel, che occuperà il posto di Presidente nel 2018, una volta che Raul Castro non potrà più rinnovare il suo mandato. Diaz-Canel non è un Castro, nonostante ci siano molti discendenti della famiglia nel sistema politico cubano.

E come fanno dunque i cubani a scegliere e controllare i loro governanti?
Diversamente dal sistema politico italiano o statunitense, non è un partito politico che nomina le persone che siederanno nelle assemblee municipali o nel parlamento. Nel caso delle assemblee municipali, sono i cittadini stessi a nominare, tra i loro vicini, le persone che si candideranno alle assemblee municipali, nel corso di piccole riunioni. Le elezioni hanno luogo con il divieto di fare campagna elettorale e naturalmente agli eletti non vengono concessi soldi o privilegi. L’unica pubblicità permessa durante le elezioni municipali consiste in una foto e una piccola biografia per ciascun candidato affissa in un luogo facilmente accessibile alle persone. Inoltre, una volta eletti, e in gran parte dei casi, i delegati municipali svolgono il loro lavoro su base volontaria, dopo aver svolto le loro ore di lavoro o di studio (tutti coloro che hanno superato i 16 anni di età sono eleggibili e hanno diritto di voto). Questo è uno tra i tanti modi in cui il sistema cubano si sforza di assicurare il controllo della base sugli eletti. Per quanto riguarda le elezioni al parlamento nazionale, le nomine dei candidati vengono avanzate da apposite commissioni composte da 6 organizzazioni di massa presenti a Cuba: i sindacati, le federazioni femminili, i piccoli agricoltori, i comitati di quartiere, gli studenti universitari e pre-universitari. Il Partito Comunista non è un partito elettorale.

Lei sottolinea, nel suo libro, le dinamiche interne che hanno cambiato la natura della cosidetta “democrazia partecipativa” cubana. In che direzione si è evoluto il sistema negli ultimi vent’anni?
Nel 1992 furono fatte diverse riforme alla Costituzione del 1976 e fu adottata una nuova legge elettorale. Una delle caratteristiche principali di questi cambiamenti fu quella di separare il Partito Comunista dal sistema elettorale rimuovendo la leadership del Partito sulle commissioni per le candidature e attribuendola ai sindacati. L’altra evoluzione fu l’introduzione dell’elezione diretta dei deputati in Parlamento, che prima non era prevista. La domanda da porre è se ci sia bisogno di ulteriori cambiamenti. Dai pareri che ho raccolto tra accademici e ricercatori cubani, c’è senza dubbio spazio per un’ulteriore evoluzione, volta per esempio a rafforzare il ruolo della partecipazione della base nella procedura di nomina del parlamento. Nei prossimi anni vedremo se ci saranno ulteriore riforme alla Costituzione e alla legge elettorale.

Ma questo scenario democratico è possibile solo in uno Stato comunista? Perché non è compatibile con il libero mercato?
Io non credo che questo tipo di democrazia, che lotta per l’inclusione e la partecipazione, possa esistere in un scenario di mercato, dato che in quest’ultimo l’unico valore è l’accumulo illimitato di proprietà privata, che comporta l’esclusione della maggioranza.

Nel contesto della sua analisi, quali elementi hanno in comune con Cuba gli altri Stati di cui si occupa (Venezuela, Bolivia ed Ecuador)?
Direi due. Innanzitutto, a Cuba la Rivoluzione del 1959 ebbe successo perché Fidel Castro e i suoi collaboratori non si prestarono a dogmatismi cercando un nuovo percorso rivoluzionario, un percorso a cui il vecchio Partito Comunista si opponeva. La lotta armata rappresentava l’unico modo per andare avanti. In Venezuela, anche Hugo Chavez era anti-dogmatico nonostante appartenesse alla sinistra. Fu questo anti-dogmatismo che lo condusse a concludere che il percorso elettorale fosse l’unica possibilità per ottenere la vittoria (una strada avversata dalla sinistra più tradizionale) e come con Castro, la storia ha dimostrato che Chavez aveva ragione. Lo stesso si può dire di Bolivia ed Ecuador, che hanno usato le rispettive culture politiche per guidare i loro popoli fuori dalla stagnazione politica ed economica in cui si erano ritrovati. Tutti e quattro questi Paesi hanno in comune nuove costituzioni moderne adottate con l’impulso diretto del popolo. E queste costituzioni e la loro pratica politica puntano tutte alla democrazia partecipativa, non solo rappresentativa.

La legge cubana punisce i dissidenti molto severamente. Un rapporto di Human Rights Watch sostiene che “sebbene il governo cubano abbia rilasciato dozzine di prigionieri politici a condizione che lasciassero il Paese, esso continua a condannare gli oppositori in processi chiusi e sommari”. Che rapporto c’è tra il problema della libertà e dei diritti civili e il sistema politico cubano? Si può risolvere nell’attuale contesto istituzionale?
Prima di tutto, Human Rights watch non è una fonte affidabile di informazioni dato che è legato alle potenze occidentali. Human Rights Watch documenta forse le massicce violazioni dei diritti umani portate avanti dal Governo degli Stati Uniti fuori e dentro i suoi confini? No*. Ciò che Human right Watch definisce dissidenti sono solo quegli individui che lavorano per gli USA e sono pagati per destabilizzare Cuba con l’obiettivo di causare incidenti e fornire un pretesto per un intervento statunitense. Quello che gli USA vogliono è il cosidetto cambio di regime, o lo sconvolgimento dell’ordine costituzionale cubano per installare un Governo pro USA. In questo modo gli stati Uniti potrebbero dettare legge come avveniva prima del 1959. Dunque il termine dissidente, che dà l’impressione che questi oppositori abbiano semplicemente punti di vista diversi dal Governo cubano, non è pertinente. Qualsiasi nazione che si rispetti possiede leggi che proibiscono agli individui di cospirare con una nazione straniera per rovesciare l’ordine costituzionale. Ancora una volta il termine “libertà” non può essere esaminato in astratto. La libertà in un sistema capitalista è la libertà di perseguire il profitto capitalista. In un Paese come Cuba la libertà include il diritto di partecipare pienamente al sistema politico, il diritto alla sanità, all’istruzione e alle attività culturali gratuite. E perciò il popolo cubano aveva iniziato a risolvere ciò che lei chiama il “problema della libertà” con il trionfo della Rivoluzione nel 1959, quando rovesciò la dittatura di Batista appoggiata dagli USA, che era molto simile al fascismo italiano di Mussolini.

Lei crede che, in un’epoca in cui i cittadini si sentono lontani dalla politica, gli Stati Uniti o altre Nazioni liberali possano trarre spunto da questo sistema di democrazia diretta, così come lo ha dipinto lei?
Ritengo che, ora come ora, il popolo degli Stati Uniti, nelle sue fasce più basse, le grass roots, possa imparare qualcosa dal Venezuela. Deve cercare il modo di formare una forte coalizione per poter vincere le elezioni contro la dittatura dei due partiti negli USA. Il popolo statunitense deve anche imparare da Cuba che un mondo migliore è certamente possibile, in cui i valori umani e la solidarietà possano soppiantare il selvaggio sistema capitalista. Se a Cuba lo si fa dal 1959, giusto accanto agli USA, anche il popolo degli Stati Uniti può aspirarvi. Ma penso che l’ostacolo principale sia l’illusione che riguarda il sistema bipartitico e la sindrome “il minore dei due mali”.

Eppure Cuba sta sperimentando un cambio radicale in questi ultimi anni, almeno da un punto di vista economico, con l’adozione di misure di deregolamentazione che aumentano i margini di iniziativa economica privata. Pensa che questo lento processo possa coinvolgere anche il sistema politico?
Non è così lento, sta avanzando piuttosto rapidamente. E sta già ristrutturando il sistema politico cubano, nel senso che i nuovi lavoratori autonomi e le loro piccole imprese devono essere inclusi nel sistema politico dei sndacati. Inoltre le assemblee a tutti i livelli, specialmente quelle municipali e provinciali, devono essere in grado di controllare e regolamentare questo nuovo settore economico così che il valore dell’eguaglianza, fondamentale per Cuba, rimanga il più possibile intatto; così che nessuno possa arricchirsi ai danni degli altri. In tre province, Cuba sta già sperimentando un rimodellamento del sistema politco. Se questi progetti sperimentali funzioneranno bene (e dal mio ultimo viaggio a Cuba, lo scorso novembre, mi sembra di sì), il piano è di applicarle a tutte e 15.

Ai funerali di Mandela, Obama e Castro si sono stretti la mano. Nel frattempo, molte voci importanti, come il New York Times, numerose organizzazioni internazionali e diversi capi di Stato hanno spinto per la rimozione dell’embargo e una pacificazione tra USA e Cuba. Come vede i futuri rapporti tra i due Stati?
L’ostacolo principale è che gli USA devono rendersi conto che per migliorare le relazioni con Cuba devono rispettare il diritto sovrano del popolo cubano di poter scegliere il proprio sistema politico ed economico. Su questo presupposto ci si può sedere a un tavolo e discutere sulla base del reciproco rispetto. Questo implica la rimozione del blocco su Cuba, altrimenti non avrebbe senso. Tutti i membri delle Nazioni Unite (inclusa l’Italia) hanno votato ancora una volta nell’ottobre del 2013 per togliere l’embargo, con l’eccezione degli Stati Uniti e Israele. Un miglioramento delle relazioni dovrebbe includere la restituzione dell’area di Guantanamo occupata illegalmente dagli USA e dove la reale violazione di diritti umani sta avendo luogo sull’isola. Qualsiasi miglioramento nei rapporti deve anche includere una reciproca soluzione umanitaria nei confronti del prigioniero statunitense Alan Gross, oggi in prigione a Cuba, e i quattro membri rimasti del gruppo conosciuto come i Cinque Cubani, imprigionati negli USA da più di quindici anni. Infine, Cuba deve essere depennata dalla lista degli Stati che sostengono il terrorismo stilata dagli USA. Gli Stati Uniti non hanno mai spiegato perché Cuba dovrebbe essere in quell’elenco. Ad ogni modo, il primo passo comincia dal sedersi allo stesso tavolo e discutere tutte le questioni rilevanti. Raul Castro ha già indicato in diverse occasioni che Cuba è disponibile, da parte sua, a sedersi e discutere senza preconcetti.

(Fonte - L'Indro quotidiano di informazione indipendente)


"In questa serata casalinga sto fumando Commonwealth di Samuel Gawith, Radio 80's Forever in sottofondo. Dopo questo doppio Rum Diplomatico Reserva Exclusiva sarò un po' sottofondo pure io".
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