La revoluciòn di Raùl all’Avana non è ancora una Revoluciòn

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bonvys
00mercoledì 21 novembre 2012 08:59
Andate a Miami, se davvero volete sentire la febbre di Cuba
La revoluciòn di Raùl all’Avana non è ancora una Revoluciòn.
mimmo candito

Andate a Miami, se davvero volete sentire la febbre di Cuba. Ma non andate a Calle Ocho, che è sempre più una roba da turisti; no, no, andate nei quartieri d’affari di Downtown, tra i grattacieli di vetro che specchiano l’avenida Brickell, oppure a Miami Beach, lungo Ocean Drive e la Washington; e lì davvero si sentirà il peso e il ruolo che ormai hanno i cubani della terza generazione, la finanza che controllano, le poltrone di sindaco e di presidente della contea che posseggono quasi per diritto , i soldi facili che smerciano tra boutiques rutilanti e alberghi di fascinosa sapienza decò. Sono loro, questi cubani che sono cubani nella faccia e nel nome ma sempre più yanqui nel passaporto e nel potere, sono loro con i loro soldi investiti dall’altra parte di Key West a dire quanto vera – e però anche quanto lenta – sia la nuova revoluciòn che Raul sta pilotando per le strade di Cuba.

Loro, con tutto questo potere e tutta la voglia di rivincita, si stanno preparando a riappropiarsi della “loro” isola perché sanno bene che il vento sta girando, ne seguono le cronache, mandano laggiù milioni di dollari con spericolate triangolazioni finanziarie, fanno ogni giorno migliaia di telefonate all’Avana per sapere, contrattare, allacciare nuovi rapporti; ci puntano, però sanno anche che il tempo è lento. E’ un tempo che non torna indietro, questo è sicuro; ma a chiamarlo “revoluciòn” bisogna usare la R minuscola, che non è quella della Sierra, quando si sparava per cambiare la storia. Oggi ci vuole pazienza, e ancora pazienza.

Prendiamo la nostra Yoani Sànchez , che ha già la valigia pronta, da quando – il 16 ottobre – il nuovo Lìder (semi)Màximo ha tolto il divieto a espatriare. Il divieto è stato tolto, ma Yoani deve aspettare ancora due mesi, e poi forse partirà. Forse. Sì, perché la nuova revolucion fa proclami e lancia solenni segnali, però poi – nella concretezza della vita quotidiana – i proclami e i segnali si sgonfiano tra le pastoie della burocrazia, le lentezze esasperanti di un sistema anchilosato, anche la paura che il cambiamento introdotto si trasformi in una valanga incontrollabile. E i giorni passano, e il passaporto non arriva.

E allora, bisogna aspettare. All’ultimo congresso del Pcc erano state annunciate 313 riforme, che è come dire davvero una Revoluciòn, quella con la R; e non erano nemmeno le prime riforme, perché da quando Raùl è il (semi)Lìder s’era già tentata una buona lenzuolata di liberalizzazioni: qualcuna ha funzionato, qualcuna rantola, ma comunque la Cuba di Raùl sta certamente cambiando faccia con un maquillage che cerca di sanare le profonde rughe del passato. Libera (nei fatti semilibera) compravendita di case, libertà (sotto condizione) di acquisto di un’automobile, comunque più d’un milione d’ettari di terre date in usufrutto a 146mila coltivatori diretti, licenze di negozi e artigianato concesse a 340 mila lavoratori autonomi, licenza di tenere un ristorante o fare l’affittacamere, e ancora rimesse più facili di denaro dall’estero, nuovi permessi di rientro di parenti dagli Usa, facilitazioni più ampie pe gli stranieri.

Tutto si scuote, vacillano vecchie abitudini, anche nascono delusioni e malumori nuovi. Solo che, dopo che un regime ha governato e controllato per più di 50 anni perfino il respiro dei suoi “sudditi”, la ruggine d’un potere e d’un costume che premiavano esclusivamente il silenzio e il conformismo fatica a scrostarsi, e tutto si fa faticoso, lento, sempre incerto. Dicono che a Cuba la Russia e il suo comunismo non contano più, che questo è il modello cinese, e l’interscambio commerciale con la Cina non a caso è passato dai 400 milioni di dollari del 2000 ai 2 miliardi di dollari dell’anno scorso. Si cambia con prudenza, dice il modello cinese; poi, in realtà, a Pechino, le cose vanno assai meno lente che a Cuba ma Cuba stanno imparando a provarci; e il progetto inevitabilmente è artritico. Comunque, all’Avana ha aperto intanto la propria sede un Istituto Confucio: c’è un boom di iscrizioni, sono già un migliaio i cubani che vogliono imparare il mandarino.
ilvecchioeilmare1944
00mercoledì 21 novembre 2012 14:39
Ho già scritto privatamente la mia opinione al mio vecchio e caro amico Mimmo che è sempre affascinato da Cuba anche se, oltre 20 anni fa, ne è stato espulso per aver "parlato troppo" durante una conferenza all'università dell'Avana dove era stato invitato a dare una conferenza agli studenti di giornalismo. Mimmo è un grande giornalista ed eccellente inviato speciale in molte guerre dove ha rischiato veramente la vita. La sua "disavventura" cubana è roba da ridere, però so che rimpiange che non lo abbiano ancora "amnistiato" per poterci tornare da professionista (con visto di lavoro in regola). E' persona molto equilibrata nei giudizi e molto attenta alle cose cubane, latinoamericane e in generale alla politica estera. Vero è quello che dice di Miami, da dove sono appena tornato, ma sono argomenti che si ripetono da quasi 54 anni con le diverse sfumature dovute ai tempi...in quanto alla "revolución" di Raul, è vero, ma lui fa quello che può, dopo aver ereditato un Paese veramente agli sgoccioli ed è inimmaginabile che abbandoni il potere spontaneamente e dopo una Storia lunga e dolorosa. Per il momento cerca di riformare il riformabile senza traumi eccessivi che potrebbero anche essere controproducenti, Sono però convinto che le "modeste" riforme non siano ancora finite. "Dopo"...ci sarà un cambio generazionale fisiologico e sarà tutto da vedere.
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