Cuba al Microscopio

Obama stringe la mano a Raul Castro

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    bonvys
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    00 10/12/2013 14:13
    10 dicembre 2013
    Obama stringe la mano a Raul Castro durante la commemorazione di Mandela
    Sudafrica, gesto di disgelo senza precedenti: gli Stati Uniti e Cuba sono stati per oltre 50 anni ai ferri corti

    13:43 - In un gesto di disgelo senza precedenti, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha stretto la mano al leader cubano Raul Castro allo stadio di Johannesburg dove i due si trovano per la commemorazione di Nelson Mandela. Il leader di Cuba, riferisce l'agenzia Reuters, ha sorriso quando Obama gli ha stretto la mano prima di salire sul podio per parlare e salutare Nelson Mandela definendolo "un gigante della storia".




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    bonvys
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    00 10/12/2013 14:14
    E' solo un piccolo gesto ma secondo me ha una grande importanza! [SM=g8864]

    Speriamo il disgelo continui [SM=g8946]
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    bonvys
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    00 10/12/2013 14:17
    Qui il video

    instagram.com/p/hvZntROD-1/#
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    Gigi..
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    00 10/12/2013 15:13
    Già........

    Ma dopo è arrivata la smerdata !!!! [SM=g7574] [SM=g3564878]


    Obama:anche oppressori ora con Mandela!
    "Anche l'America ha vissuto secoli di
    segregazione razziale", ha detto Obama
    nel suo discorso per Mandela."Michelle
    e io siamo i beneficiari di questa bat-
    taglia. Madiba era un uomo, un padre,
    che si è conquistato un posto nella
    storia attraverso la lotta e la fede".

    Ma poi arriva una stoccata:"Troppi lea-
    dere nel mondo sono solidali con la
    lotta di Mandela per la libertà, ma non
    tollerano il dissenso dal proprio popo-
    lo",ha detto rivolto ad una platea nel-
    la quale spiccano Mugabe (Zimbabwe),
    Castro (Cuba) e Li Yuanchao (Cina).


    [SM=g7574] [SM=g7574] [SM=g7574]










    Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera
    è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi
    tirando il manico.....

    W. Churchill




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    bonvys
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    00 11/12/2013 14:27
    Le aperture degli USA con Cuba andranno avanti, lo conferma Ben Rhodes
    Ben Rhodes, vice consigliere per la sicurezza del presidente degli Stati Uniti, in una intervista rilasciata a bordo dell’aereo presidenziale, ” Air Force One ” ha parlato dei rapporti tra gli USA e Cuba. Rhodes ha confermato che l’attuale amministrazione americana è animata dalla volontà di collaborare con Cuba e proseguirà nella strada già intrapresa con delle aperture nei confronti del paese di Castro, ma tutto è subordinato al rispetto dei ” diritti umani ” della popolazione, che per gli Stati Uniti resta il punto focale di tutte le trattative, insieme al rispetto della ” dignità ” degli abitanti di Cuba.

    [SM=g8916] [SM=g8920]
    Però speriamo in [SM=g3564877]
    [Modificato da bonvys 11/12/2013 14:28]
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    bonvys
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    00 11/12/2013 14:31
    Interessante articolo de "La Stampa" che spiega più approfonditamente anche alcuni retroscena
    Il leader Usa ai funerali di Madiba: certe cose impossibili finché non succedono

    REUTERS

    Nel nome del padre, il Sudafrica ieri ha celebrato un mito, e insieme ha seppellito un’epoca e una generazione. Si capisce dall’affetto con cui ha partecipato al memorial per Nelson Mandela nello stadio di Johannesburg, nonostante la pioggia battente abbia spopolato gli spalti, e dai fischi con cui ha demolito il suo successore Jacob Zuma. Oltre a smuovere il proprio popolo, però, Madiba ha compiuto forse un ultimo miracolo di riconciliazione internazionale, quando il presidente americano Barack Obama è salito con passo deciso sul palco delle autorità, per andare a stringere la mano a Raul Castro. È un nuovo caso Rohani? Alla breve conversazione di Johannesburg seguirà una ripresa del dialogo, come dopo la telefonata col collega iraniano all’uscita dall’Onu?



    Il capo della Casa Bianca aveva in tasca un discorso commovente sulla lezione impartita al mondo da Mandela, soprattutto quella di saper perdonare e ascoltare i suo avversari. Nel discorso Obama rivelava di chiedersi spesso se applica questi principi, ma aveva pronta anche una randellata che sembrava fatta apposta per il collega cubano: «Ci sono troppi leader che rivendicano la loro solidarietà con la lotta per la libertà di Madiba, ma non tollerano il dissenso dalla propria stessa gente». Sapendo di nascondere queste due carte, e ricordando la promessa fatta nel discorso inaugurale del 2009 di «allungare la mano all’avversario che allenta il pugno», Barack ha corso il rischio di omaggiare nei fatti la lezione di Mandela andando a salutare Raul. Lo aveva già tentato in passato con altri rivali, tipo Chavez e Gheddafi, e quindi era la prosecuzione della politica della stretta di mano, usata come simbolo della disponibilità ad avere rapporti civili, se non proprio a dialogare. Ma dal gesto di ieri, fatto nel nome di Mandela, può nascere una svolta?



    L’embargo contro Cuba è il provvedimento di politica estera americana in vigore da più tempo, e ormai si può affermare con certezza che non ha avuto gli effetti desiderati. Anzi, i fratelli Castro lo hanno sfruttato magistralmente per rafforzare la rivoluzione, giustificandola come una necessità per resistere all’invadenza Usa. Diverse amministrazioni hanno pensato di rivedere le relazioni, con negoziati pubblici e segreti. Durante la sua campagna presidenziale Dukakis aveva incaricato un gruppo di studio riservato di preparare i piani. Finora, però, la potenza della lobby cubana anticastrista nel decisivo stato della Florida ha bloccato tutto.



    «L’interesse a smuovere le acque – dice l’analista Moisés Naím – esiste su entrambi i fronti, ma temo che sia ancora troppo presto». Da una parte Obama sarebbe favorevole perché la fine dell’embargo aiuterebbe anche la fine del regime, mentre sul piano politico potrebbe permetterselo perché «la demografia della Florida sta cambiando, e la nuova generazione di origine cubana non è più così legata alle vecchie politiche anticastriste». Dall’altra parte Raul vorrebbe migliorare il rapporto con gli Usa perché «il suo modello è quello cinese: riforme in economia, e stretto controllo della politica».

    Ad ora gli ostacoli sono altrettanto invalicabili: «Gli Usa hanno troppe altre questioni strategicamente più importanti da gestire, come ad esempio l’Iran, e inoltre per eliminare l’embargo Obama dovrebbe chiedere il via libera al Congresso, che di questi tempi non gli passa neppure la legge di bilancio». Raul, invece, ha un problema famigliare: «Fidel è troppo legato alla rivalità con gli Usa e non accetta di cambiare. Fino a quando sarà vivo lui, il fratello non potrà fare passi pubblici verso gli Usa più consistenti di quelli attuali». Il fatto curioso è che neppure Ben Rhodes, consigliere di politica estera di Obama, sapeva della stretta di mano; infatti l’ha detto ai giornalisti che gli chiederà lumi. Nel suo discorso, Barack ha dichiarato di aver imparato da Nelson che «certe cose sembrano impossibili, fino a quando non vengono fatte
    ».
    [Modificato da bonvys 11/12/2013 14:34]
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    bonvys
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    00 12/12/2013 09:41
    OTTIMO ED INTERESSANTE ARTICOLO
    Dalla ‘revolucion’ alla stretta di mano Cuba e Usa, disgelo a piccoli passi.

    TUTTO SUCCEDE in silenzio, senza clamore. La stretta di mano fra Obama e Raul Castro ai funerali di Mandela non ha più nulla della «bugia» di Bill Clinton, che nel 2000 all’Onu negò di aver stretto quella di Fidel, per ammettere il gesto solo molto più tardi. Tra Usa e Cuba il disgelo è ormai innegabile e passa soprattutto per gli affari. Il segnale vero però arriverà dalla politica quando l’Avana, magari con una scusa umanitaria, deciderà tra qualche tempo di espellere l’attivista americano Alan Gross in carcere da 4 anni e Washington lascerà andare i quattro agenti cubani ritenuti spie, ma mai processati.
    Obama verrà adesso bersagliato di domande per quel suo ‘gesto africano’, ma è probabile che lo abbia fatto per farsi invitare pubblicamente a dare spiegazioni. I tempi del dittatore Batista e delle sue auto coloratissime che stazionavano davanti ai casinò, o degli ultimi drink di Hemingway, sembrano lontani anni luce. Ma non troppo. Adesso che il grande curvone del Malecon torna a rianimarsi e illuminarsi coi piani finanziati dall’Unesco, è come se il risveglio americano per la vecchia isola del divertimento e dei suoi bar, le avesse fatto perdere il senso del «territorio nemico». Oggi l’isola è una sorta di ‘Vaticano comunista’, un ministato con due papi della rivoluzione, Raul che lo guida e Fidel che osserva cosa fa il fratello, suggerendo sempre meno. Dall’altra parte c’è la grande potenza americana, che non ha mai smesso di voler impossessarsi dell’ex isola del weekend, ma forse si è decisa a «ricomprarla» e a non invaderla.
    Sicuramente questa operazione sarà aiutata da un mercato immobiliare che sta diventando gradatamente libero per favorire il rientro dei capitali dei cubani ‘espatriati’. Ma la grande contraddizione rimane l’embargo economico ordinato da Washington più di mezzo secolo fa, che ha raggiunto un significato obsoleto, al punto che gli stessi intransigenti anticastristi di Miami, dietro le quinte, adesso fanno lobby per abolirlo.
    LA CASA Bianca pretende di tenere un profilo basso. Non vuole caricare di significato il breve incontro di Barack e Raul ma i rompighiaccio del disgelo erano già in azione da lunghi mesi guardando non solo alla rimessa di denaro verso Cuba, ma anche all’attivazione di un servizio postale diretto dell’isola con gli Usa. Anche per Washington l’abolizione delle barriere commerciali potrebbe portare a un vantaggio strategico e a influenzare i consumi.
    Non è un caso se Obama proprio in Florida, lo Stato che ha la più alta concentrazione di profughi cubani, ha detto di recente: «Il concetto che le stesse politiche del 1961 possano essere ancora efficaci oggi nell’era di Internet e dei viaggi internazionali davvero non ha senso».
    Dopo 22 anni di risoluzioni inutili, ma sostanzialmente plebiscitarie che ne chiedevano l’abolizione, l’Assemblea Generale dell’Onu, a fine ottobre ha lasciato un’altra volta soli Usa e Israele (182-2) nel voto contrario. Ma potrebbe essere l’ultima volta. Sono ormai in tanti a ritenere che il documento approvato all’unanimità dal Wto a Bali è diventato il vero ‘annuncio’ della fine delle restrizioni verso l’Avana. Quattro giorni di braccio di ferro tra blocchi contrapposti non avevano portato a nulla, ma un’improvvisa riunione notturna a porte chiuse tra la delegazione castrista e americana ha permesso di siglare una svolta storica per 156 paesi.
    La parola magica sarebbe stata la promessa della fine dell’embargo in tempi brevi. Per la Casa Bianca insomma la «politica verso Cuba va aggiornata», per l’Avana la necessità di ristabilire normali relazioni con gli Stati Uniti, che si stendano oltre «l’affitto abusivo» di Guantanamo rimane un imperativo. Potrebbe essere il passaggio definitivo del testimone rivoluzionario che Raul ha promesso di voler cedere non dopo il 2018. E allora come simbolo dell’isola del divertimento, resteranno le stupende automobili colorate e i cocktail de la Floridita di Hemingway, veri monumenti di una continuità culturale più forte delle dittature militari e dei regimi.

    E CHE I TEMPI siano cambiati lo prova Elian Gonzalez, il bambino «sequestrato» a Miami dai parenti della madre morta durante la sua fuga da l’Avana, che oggi a 20 anni è diventato invece un testimonial di Fidel, spedito in giro per il mondo a dire: «A Cuba si vive bene, venite a trovarci e togliete l’embargo».