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Cuba – Verità trasversali, verità oblique, verità che abbagliano e stridono e fanno male … verità

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2013 22:52
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01/11/2013 19:22
 
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Ho voluto rubare quest' articolo dal sito "igiornielenotti.it"


di Gian Carlo Zanon


«Cosa c’è di diverso? Gli odori e la temperatura, penso in un primo momento. Poi penso ai rumori che in ogni luogo posseggono le proprie peculiarità, al grigiore del cielo in inverno e al tono scuro delle acque di un fiume che attraversa gran parte dell’Europa. Ma cosa c’è in realtà di nuovo? (…) Forse è la musica, il suono del tram che frena alla fermata, la neve che si ammonticchia al lati del marciapiede, i fiori di primavera che lottano per uscire anche se forse li aspetta la più tremenda delle gelate. Dove si radica lo stato di straniamento? Nello scampanio delle chiese che ad ogni ora in punto sembrano fare a gara, o in certe case talmente antiche da far sembrare di giovane età le costruzioni de La Avana vecchia.»

Queste sono alcune domande che Yoani Sánchez, dopo essere finalmente riuscita ad uscire dall’Isola e viaggiare libera nel mondo, pone a se stessa in un articolo, Prohibiciones, scritto nei suoi primi giorni di libertà. Poi si risponde:

«Il contrasto principale è radicato in ciò che viene consentito o meno. Da quando scesi dal primo aereo sto aspettando che qualcuno mi sgridi, che qualcuno esca e avvertendomi mi dica ”questo non si può fare.” Cerco con lo sguardo il custode che verrà da me dicendomi “non è permesso fare foto”, il poliziotto che scuro in volto griderà “cittadina, identificazione”, il funzionario che tagliandomi la mia strada in qualche corridoio sentenzierà “qui non è possibile entrare”.»

Con poche frasi poetiche la Sánchez fa “sentire” al lettore il clima in cui si vive quotidianamente nelle grandi città di Cuba. Questo naturalmente quando si vuole vivere in libertà e non quando istintivamente, condizionati da abitudini comportamentali, non si sorpassano mai i confini del “non si può fare”.

In questo piccolo, intenso e poetico reportage, l’ormai famosa bloguera cubana traccia con poche righe la realtà sociale cubana, e quindi, se non mente, ella svela con le sue parole una verità che io non conoscevo.

Mi sono reso conto, leggendo attentamente gli articoli e i commenti pubblicati nel nostro Diario polifonico, ormai da un mese circa, che la verità, per ognuno di noi, è diversa e contrastante. Non è la realtà oggettiva che viene disegnata in modo distinto – sarebbe molto grave se fosse così – ma il senso che, chi è intervenuto con articoli o commenti, ha dato ad alcuni aspetti della realtà cubana. Senza entrare troppo nello specifico mi viene banalmente da dire che ogni individuo, al di là dei cinque sensi, possiede un proprio senso estetico personale ed originale, vale a dire che ognuno da un proprio significato alla realtà oggettiva data. Ognuno nella percezione ammanta di sé il reale, arricchendolo, impoverendolo, banalizzandolo, facendone emergere i contenuti interni o annullandone le realtà non immediatamente visibili.

Cuba's best-known dissident, blogger Yoani Sanchez poses with her passport after arriving at Guararapes International airport in Recife

Gli autori degli articoli e dei commenti avvicendatisi in questa dialettica, dai toni anche aspri ma sempre civilissimi, hanno espresso, parlando di Cuba, la propria “visione del mondo” con cui hanno ammantato la realtà di cui hanno narrato.

Ci voglio provare anch’io, partendo proprio da ciò che Yoani Sánchez racconta nei suoi articoli che mi hanno sempre colpito per la loro particolare sonorità. Più o meno ormai tutti sanno che Yoani è una donna che da anni lotta rischiando la propria libertà per narrare ciò che sa, ciò che vede e che ha visto, ciò che vive ed ha vissuto sulla propria pelle. Lo fa con il mezzo che gli è più congeniale: un computer collegato con il mondo intero attraverso la rete web.

Un anno fa, il 4 ottobre del 2012, la Sánchez, che tra parentesi è stata più volte candidata al premio Nobel per la pace, fu arrestata per strada, e solo perché intendeva seguire il processo di Angel Carromero, esponente politico spagnolo accusato della morte, in un incidente d’auto, dell’oppositore cubano Oswaldo Paya.

Il suo comportamento in quell’occasione fu esemplare per il coraggio e per l’identità umana dimostrata. Non appena liberata dalla detenzione raccontò ciò che le avevano fatto e ciò che le avevano tentato di fare con il suo stile letterario che non lascia scampo «il sudore di quelle tre donne che mi misero nell’auto della polizia ce l’ho ancora incollato sulla pelle e ben dentro le narici (…) Mi hanno fatto entrare in una cella senza finestre e mi hanno detto che dovevo spogliarmi. Io mi sono rifiutata e ho detto che non mi sarei tolti i vestiti. A quel punto loro hanno cominciato a immobilizzarmi con la forza sul pavimento. Tre donne hanno tentato di denudarmi, è stato il momento più violento della mia detenzione (…) mi hanno strappato di dosso tutto ciò che potevano ma non hanno potuto strappare il mio mondo interiore».

Dopo trenta ore di detenzione Yoani Sánchez viene rilasciata senza nessuna accusa.

Questo è quanto è successo a L’Avana, ed è un dato oggettivo.Partendo da questo dato oggettivo alieno la mia “visione del mondo” e, in concomitanza con quanto accaduto su queste pagine, penso che leggere queste cose drammatiche e non sentire sorgere un moto di ribellione nello stomaco mi fa pensare a una mancanza di sinestesia fisica che dovrebbe appartenere a tutti gli esseri umani.

Mi piacerebbe che si leggessero gli articoli di Yoani attentamente, se possibile nella sua lingua originale, perché è lì che lei è grande, immensa. E lo è perché ha una capacità estetica originalissima, e poetica, capace di entrare nei corridoi poco frequentati della psiche e aprire le infinite porte che si aprono nei due lati per far veder al lettore la realtà umana di centinaia di migliaia di persone che vivono infelici anche se ballano tutto il giorno. E sono infelici perché non possono realizzare la propria identità umana. Alcune di queste persone, poche, con la consapevolezza di questa assenza di libertà che limita la loro realizzazione, altre , la maggior parte, con una depressione causata dal silente stridio tra la propria realtà interna, invisibilmente coartata, e le ragioni dello stato socialista “che deve realizzare la propria ideologia”.

Ideologia che annulla l’identità umana per i cosiddetti “sogni” di una società più giusta. Società che, ora lo sappiamo ormai, non potrà mai realizzarsi finché l’etica sociale verrà indotta dottrinariamente da pedagoghi che assomigliano sempre più a preti cattolici. Tutto ciò naturalmente è dovuto ad una ideologia che fa credere che il pensiero negli esseri umani esiste solo se immesso pedagogicamente con lavaggi del cervello che iniziano dalla più tenera infanzia:

“Para mi comandante de dulce sonrisa/guardo para siempre el sol y la brisa./Para mi comandante de barba y sombrero/he cortado flores en jardín de enero./Para mi comandante perdido en octubre/esta pañolera azul que me cubre”.

Questa è la cantilena che fanno insegnare a Cuba ai bambini nei primi giorni dell’anno scolastico. Una bella preghierina come quelle che mi insegnavano a scuola, solo che al posto del “Gesù d’amore acceso” c’è il “comandante” ovvero Che Guevara.

Quello che voglio dire è che qui come a Cuba, se si esclude il naturale sviluppo che ha portato ad un benessere inteso come scolarizzazione, possibilità di accedere alle cure mediche avanzate, incremento degli anni di sopravvivenza, ecc. ecc., nulla è sostanzialmente cambiato. Sia il paradigma socialista sia il liberalismo hanno portato solo ad un aumento del soddisfacimento dei bisogni e non alla realizzazione dell’identità umana che rimane sempre una chimera quasi irraggiungibile … quasi.

Con questo non voglio dire che gli articoli di Roberto Cursi, Di Giulia De Baudi o alcuni commenti non posseggano molti, moltissimi elementi di verità, ma, per ciascuno di noi esiste una verità più vera che non può essere ridotta alla ragione.

Quindi, ritornando a Cuba, ben vengano le denunce di chi si ribella perché la società in cui vive gli impedisce la propria realizzazione umana che comprende anche il diritto/dovere di ricercare la verità più vera. Non esiste realizzazione umana nella menzogna.

La denuncia della pedofilia della Sánchez è importante perché a Cuba è un argomento tabù nascosto dalla stampa locale, come da noi si nasconde la realtà più vera del fenomeno pedofilia nella Chiesa cattolica. Ciò che si sa qui è solo ciò che i giornali guidati da cattolici permettono che si sappia. Ciò che si sa a Cuba è solo ciò che i media locali, guidati di gerarchi, permettono che si sappia.

Quindi io dico a Roberto Cursi che la veemenza, l’amplificazione, la drammatizzazione, presenti nelle denunce della bloguera cubana non sono altro che movimenti naturali non mediati dalla ragione; sono grida di dolore per questi crimini che senza denunce non verranno mai puniti né fermati. Nessuna persona intelligente pensa che in Italia siamo tutti mafiosi ma può legittimamente pensare che il problema mafioso sia nascosto dal potere mediatico legittimato da Ministri dell’Interno che fino a pochi mesi fa affermavano “ Nel Nord Italia la mafia non esiste”. Così nessuna persona intelligente può pensare che a Cuba siano tutti pedofili e che tutte le ragazze siano jineteras solo perché denunciandone il fenomeno si viene a sapere che esiste.


“Con i nostri figli no” scritto dalla Sánchez, è un grido che si leva in difesa dei bambini stuprati e per lo schifo di una informazione mediatica cubana che nasconde i crimini di pedofilia come faceva la polizia fascista. Ad ogni regime totalitario importa più che si pensi che certi fenomeni, grazie alla perfetta organizzazione statale, non esistano, piuttosto che denunciare i crimini di pedofilia che poterebbero salvare altri innocenti. Questo è un dato storico ed oggettivo. Quindi ben venga l’enfasi di Yoani Sánchez. Non si dovrebbe mai attaccare chi svela la verità solo perché questa incrina e perturba credenze precostituite. Se la Sánchez fosse tra noi, e magari abitasse a nell’entroterra casertano, sarebbe né più né meno come quel Saviano che anni fa denunciava la Camorra rischiando la vita.

A Cuba ci sono dei fenomeni di corruzione? C’è mancanza di libertà? Ci sono fenomeni di prostituzione? Se si perché non denunciarli. Forse non nominandoli si spera che non esistano, o che evaporino come la brina al primo sole?

Io credo fermamente nella potenza delle parole, altrimenti non scriverei. E Yoani ha scritto che se si inizia a chiamare le dittature con il proprio nome « … es como si comenzara a destruirlas» è come se si iniziasse a distruggerle.

Ora guardo la società cubana, con occhi diversi da un mese fa. Pur non essendo mai stato a Cuba, e grazie ai molti articoli e commenti letti in questi giorni ho molto più presentela sua complessità. Penso anche, e spero veramente di sbagliarmi, che fra non molto sarà fagocitata da un neoliberismo cinico e rampante per il semplice motivo che i suoi abitanti non posseggono alcun strumento culturale per opporvisi … ma questo, purtroppo, non accadrà solo a Cuba.

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01/11/2013 22:52
 
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molto interessante e mi piacccione le riflessioni del tipo [SM=g3564901]


- 'No hay mal que dure 100 años ni pueblo que lo resista'.

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